‘Al Sisi not welcome’, ‘Verità per Giulio Regeni’. Questi due striscioni diretti al presidente dell’Egitto, Abdel Fattah al Sisi, hanno aperto il corteo dei manifestanti accorsi a Palermo per contestare la Conferenza sulla Libia voluta dal governo italiano.
Accoglienza molto diversa da quella riservatagli dal presidente del consiglio Giuseppe Conte che ha messo da parte l’impegno assunto qualche mese fa verso la famiglia Regeni e tutti gli italianidi non voler arretrare su richiesta di giustizia per il ricercatore ucciso al Cairo quasi tre anni fa.
Oggi più che mai, quella verità negata pesa su chi ha invitato l’ex generale in Italia.
Proprio ‘Verità per Giulio Regeni’ era tra gli slogan scanditi a gran voce da un migliaio di persone nel giorno dell’apertura del vertice internazionale col premier Conte a fare da padrone di casa.
I dimostranti hanno sfilato pacificamente per le strade del centro città fino in piazza Verdi, distante 4,1 km dalla zona rossa circoscritta attorno a Villa Igea, dove i leader discutono del futuro del paese nordafricano.
In piazza militanti di Sinistra, dei Cobas, dei proletari comunisti, ragazzi dei centri sociali, esponenti di Potere al popolo e di Rifondazione comunista che hanno invocato a gran voce “verità per Giulio Regeni”, il cui nome era impresso su un altro striscione in testa al corteo.
Nelle ore in cui al Sisi arrivava a Palermo, in un tribunale al Cairo tornava sul banco degli imputati Amal Fathy, moglie del consulente della famiglia Regeni Mohamed Lofty che, hanmo deciso i giudici al termine dell’udienza, dovrà restare in carcere altri 45 giorni. Lo scorso 29 settembre la Corte per i reati minori di Maadi, in Egitto, aveva già condannato a 2 anni di prigione l’attivista, mamma di un bambino di 3 anni, nel processo che l’ha vedeva imputata per diffamazione nei confronti della Banca Misr e del suo staff.
“Un vero e proprio oltraggio alla giustizia – era stato il primo commento di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia – Siamo al paradosso: una persona che ha subito e denunciato molestie sessuali viene condannata e chi ne è stato l’autore resta in libertà. Amal Fathy sta dalla parte dei diritti umani. Non è una criminale e non dovrebbe essere punita per il suo coraggio“.
Amal, che ha già trascorso 6 mesi in prigione, si ritrova per ora con una condanna, seppur con pena sospesa, a 2 anni di carcere, e rischia un verdetto ancor più pesante tra un mese e mezzo quando comparirà di nuovo davanti alla Corte per rispondere delle accuse di “appartenenza a un gruppo terroristico”, “diffusione di idee che incitano ad atti di terrorismo” e “pubblicazione di notizie false”.
Uno sproposito se si pensa che la sola ‘colpa’ di questa giovane attivista è di aver postato su Facebook un video in cui denunciava le molestie sessuali subite e criticava le istituzioni egiziane per la mancata protezione delle donne.
Amal ‘paga’ soprattutto per essere la moglie di Lotfy, ex ricercatore di Amnesty e direttore della Commissione Egiziana per i diritti umani . Prelevato dalla polizia insieme ad Amal e il loro figlio di tre anni all’alba dell’11 maggio dalla loro casa, Mohamed è tornato libero grazie al doppio passaporto, egiziano – svizzero.
Amal, invece, è rimasta per tutto il tempo in cella dove rimarrà altri 45 giorni. Da innocente.