C’è profumo di donna. Dalla società italiana, fino ad oggi ipnotizzata dalle sirene gialloverdi, arrivano i primi segnali di infastidito disagio, se non di aperta protesta. Il consenso per il governo del cambiamento rimane granitico perché sono tantissimi gli italiani ancora appesi alle promesse, di segno opposto, del succulento contratto proposto da due partiti/movimenti, originariamente antitetici e che invece ora si rassomigliano sempre di più, tenacemente avvinghiati nella spartizione del potere e delle poltrone. Eppure, qua e là, qualcosa si muove. Con la perfidia della legge del contrappasso, tutto, o quasi, è iniziato dentro la rete mitizzata dal M5S, che dalla realtà virtuale scivola nella vita e nelle piazze reali. Con una novità rispetto alla rete stellata e anche rispetto al machismo un po’ illanguidito di Matteo Salvini.
La rete, che incrina il consenso quasi totalizzante per il governo, è soprattutto donna. E’ iniziato tutto un paio di settimane fa con l’iniziativa lanciata in rete da sei donne, tutte professioniste, all’insegna di “Roma dice basta”, che ha raccolto 10.000 persone sotto il Campidoglio per contestare il sindaco Raggi, rea di incapacità ed inconsistenza. Raggi, infastidita, ha accusato i manifestanti di essere “orfani di Mafia capitale” e poi si è sentita rafforzata dall’assoluzione dall’accusa di falso perché “il fatto (aver detto una piccola bugia) non costituisce reato”. Adesso rimane #ATestaAlta, anche perché i romani, un po’ pigri, dopo aver disertato il referendum promosso dai radicali, si terranno, felici e contenti, l’Atac disastrata. Ma un fremito c’è stato. Una vera grande manifestazione l’hanno organizzata sei “
madamin”, altre donne che lavorano, che hanno riempito la storica piazza Castello di Torino con un poderoso “Sì Tav”, all’insegna di una cultura del lavoro e dell’impresa, tipicamente piemontese, agli antipodi da quella del Comune guidato dai 5Stelle. Anche qui, all’insegna di “partiti no grazie”. Matteo Salvini, però, ha subito detto che lui è a favore del “Sì Tav”, mettendo il cappello sulla manifestazione e realizzando una nuova versione del “partito di lotta e di governo”, che un tempo era stato del Pci.
Davvero politica e di sapore femminista è stata la manifestazione nazionale, promossa dal movimento “Non una di meno”, per dire no al decreto Pillon, particolarmente cattivo con le donne. Anche qui, niente partiti, ma con il sostegno organizzativo della Cgil.
E’ già successo che la società civile, dopo un periodo di torpore, risvegliasse le piazze con iniziative spontanee e una certa diffidenza iniziale nei confronti dei partiti. La novità, da non sottovalutare, è la forte impronta femminile di queste proteste educate, ragionevoli e riformiste.
La politica, però, non è rimasta a guardare. La reazione più scomposta è venuta dal M5S, inferocito, che ha attaccato i giornalisti, “servi” e “puttane”. Quella più abile è stata del solito Matteo Salvini, che miscela aggressività e buon senso. Una sorta di appropriazione indebita è stata quella di un Silvio Berlusconi, agonisticamente ringiovanito, che ha detto che quella di Torino era gente “sua”. Non pervenuta, o quasi, la reazione del Pd, concentrato nella contemplazione del proprio ombelico congressuale mentre un pezzo della società italiana, nonostante tutto, si sta rimettendo in movimento. Ma la politica senza partiti è impossibile o pericolosa. Le strade, a questo punto, sono due. O nasce un eterogeneo ed improbabile movimento civile o i partiti aprono porte e finestre a questa nuova classe dirigente al femminile, che sta emergendo con bravura e naturalezza e che merita attenzione e rispetto. Tertium non datur, perché difficilmente le “madamin” si faranno imbrogliare o fagocitare da un sistema, stanco ed ingordo, declinato tutto al maschile.
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