Paulo Dybala, al pari di Paul Pogba, è forse il giocatore classe ’93 più interessante che ci sia nel panorama calcistico mondiale. Un fuoriclasse, su questo non si discute, con un bel volto pulito e una nobiltà d’animo che lo induce a dedicare una parte importante del proprio tempo a sostenere iniziative umanitarie e di beneficenza. Basti pensare, tanto per dirne una, alla notte in cui andò a prendersi cura dei barboni di Torino: alla discoteca, preferì un’attività sociale di altissimo valore che testimonia la sua passione per il prossimo e la sua attenzione nei confronti dei più deboli.
Del resto, quest’orfano di padre, costretto a vivere in una pensione per poter coltivare il sogno di diventare calciatore, lontano dalla famiglia e dagli affetti, questo smisurato talento che conosce anche la sofferenza, la solitudine e la morte è uno dei personaggi migliori che ci siano in un ambiente ahinoi sempre più dominato dagli interessi e dal denaro.
Dybala, una piuma d’argento che potrebbe anche diventare d’oro, se solo si liberasse dei suoi demoni, della sua infinita paura di spiccare il volo, delle sue ansie e delle sue malinconia.
Dybala, un fuoriclasse eccessivamente innamorato del pallone, con troppi tocchi e scarso dinamismo, il quale tuttavia, quando è in giornata, riesce sempre ad imprimere una svolta decisiva alla partita, in virtù di un talento fuori dal comune e di una classe cristallina cui manca solo un po’ di grinta per trasformarsi in genio allo stato puro.
Diciamo che Dybala sarà Ronaldo nel momento in cui avrà la stessa “garra”, la stessa voglia di vincere, la stessa attenzione ai minimi dettagli, la stessa, disarmante volontà di perfezionare ciò che già si avvicina alla perfezione, lo stesso carisma e la stessa capacità di trascinare la squadra. Da questo punto di vista, diciamo che gli manca un po’ di quella “faccia sporca” che rende i fenomeni veramente tali. Paulo, al contrario, sembra ancora un angelo, un ragazzo puro, straordinariamente perbene, incapace di far del male a chicchessia, e queste sonon tutte virtù che ci auguriamo conservi sempre, ma al contempo schiacciato dal peso delle responsabilità che si richiedono a un giocatore di quel livello e, talvolta, incapace di gestire emozioni e sentimenti.
Gli manca poco per essere un Dio del calcio, forse persino superiore a Messi, in quanto meno egoista e innamorato di se stesso, meno narcisista e incredibilmente umile nell’accettare qualunque decisione dei suoi allenatori, comprese le intollerabili esclusioni di Sampaoli la scorsa estate ai Mondiali di Russia.
Paulo ha sempre detto di giocare anche per suo padre, per il suo primo estimatore, per colui che lo accompagnava e lo andava a riprendere agli allenamenti, per l’uomo per cui ha pianto a soli quindici anni e la cui perdita non ha mai smesso di bruciargli, come è ovvio e comprensibile che sia. E allora sia questa la sua molla, il suo valore aggiunto, la sua missione: gioca per tu padre, caro Paulo, ricordati che da lassù ti guarda ed è sempre e comunque con te, non avere paura di niente e di nessuno perché l’unico che attualmente ti è davvero superiore gioca al tuo fianco ed è ben disposto ad aiutarti ad essere il suo erede, perché la poesia nei piedi non ti manca, perché la gente ti vuole bene, il pubblico ti stima e potresti anche diventare una bandiera della Juventus, se solo lo volessi.
Quando alle movenze del cigno, Paulo unirà la ferocia agonistica di un Mandžukić o di un Matuidi, avremo un nuovo Cristiano Ronaldo. E se c’è uno che non vede l’ora di benedire un erede, avendo contribuito in maniera decisiva a costruirlo, questi è proprio CR7. Questione di ego e di grandezza.
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