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Pakistan, Afghanistan, Iraq e quei morti di serie B di cui nessuno parla

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Quella che leggerete non è un’analisi geopolitica, né un ‘trattato’ sociologico sull’impatto dell’azione del terrorismo sulla massa. Si tratta semplicemente di umana compassione e conseguente indignazione. Ieri nel giro di poche ore in un doppio attentato in Pakistan, il primo nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, il secondo a Karachi al consolato cinese. sono morte decine e decine di persone, ma per loro non si sono colorati i profili social con la bandiera pakistana, tanto meno i media hanno dedicato loro spazio nei tg o sulle pagine degli esteri sui quotidiani, già solitamente ridotte rispetto a quelle destinate alla politica e alla cronaca. Stesso era avvenuto pochi giorni prima per un attacco a Kabul dove un raduno di religiosi per la celebrazione della nascita di Maometto si è trasformato nell’ennesima strage che ha insanguinato la capitale afghana. Oltre 50 vittime innocenti, colpite vigliaccamente come giovedì  mattina in un mercato al confine con l’Afghanistan, 25 morti e 35 feriti. La maggior parte erano musulmani sciiti appartenenti alla minoranza hazara, che rappresenta uno dei bersagli principali sia dell’Isis sia dei talebani. in questa zona del Paese la penetrazione dello Stato Islamico negli ultimi tempi è massiccia, soprattutto nelle zone montagnose fra Pakistan e Afghanistan. Nessuno, tuttavia, ha ancora rivendicato l’attacco che è stato messo a segno posizionando l’ordigno esplosivo in una cassa di verdura. Come per altri simili attacchi terroristici in paesi a maggioranza islamica, come Afghanistan, Iraq e Yemen, il mondo è rimasto pressoché silenzioso e indifferente verso queste nuove vittime del terrore islamista. Eppure la matrice degli attentati è, almeno per il primo attentato, la stessa. La mano che colpisce indistintamente musulmani e cristiani in ogni latitudine e longitudine è spesso la stessa. Non la risposta empatica dell’opinione pubblica.
Il bilancio delle vittime degli attentati in Pakistan è stato significativamente importante e ha falciato, soprattutto, vite giovanissime. Alcuni erano solo dei bambini. Eppure la portata della reazione mediatica e della mobilitazione collettiva è stata a dir poco imbarazzante.
Questa, finora, la constatazione dei fatti a cui segue un’amara considerazione. Ancora una volta assistiamo a un parallelo ignobile: da un lato i morti ‘occidentali’, quelli di serie A, dall’altro quelli mediorientali, asiatici e africani, di serie B. E mi chiedo e vi chiedo: se l’empatia per la Francia e il Belgio, di cui possiamo percepire e condividere la paura nel rendersi conto che il proprio paese, il luogo dove si supponeva di essere al sicuro, sia sotto attacco, è totale e globalizzante, non dovrebbe essere altrettanto naturale piangere e ricordare le vittime irachene, yemenite e pakistane che non riceveranno lo stesso supporto da parte dell’Occidente? E invece l’attenzione dedicata a quest’ultime, a causa della lontananza dei luoghi in cui si è consumato il loro dramma o per le appartenenze religiose, è debole, sbiadita. Anzi. L’unico effetto evidente è che interi popoli continuano a essere ostracizzati per gli atti imperdonabili di un piccolo gruppo di mostri. Ma la vita di un musulmano innocente non è meno preziosa di quella di un cattolico in Europa o di un cristiano negli Stati Uniti.
Crimini orrendi si sono susseguiti nel nostro continente negli ultimi anni ma si stanno verificando a un ritmo ancora più allarmante in Medio Oriente e in Africa. Eppure non si ‘illuminano’ edifici né cambiano i profili sui social a sostegno delle vittime e delle loro famiglie di queste realtà che forse alcuni ritengono responsabili quanto i terroristi che  ci minacciano. Ed è su questo che bisognerebbe riflettere e ammettere ipocrisie e indifferenza di una parte di mondo che alimentano ulteriore odio e terrore.


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