A vent’anni dalla prima sperimentazione di un Reddito minimo, torna l’incubo del “reset” politico che rischia di mandare in fumo il lavoro fatto sui territori negli ultimi anni. Il reportage di Redattore sociale sul Reddito di inclusione in alcune grandi città dello Stivale. La preoccupazione degli amministratori: “Tutto da rifare?”
ROMA – Sono passati vent’anni dal primo tentativo di introdurre anche in Italia una misura di contrasto alla povertà assoluta. Era il 1998 e col decreto legislativo n. 237 del 18 giugno, quella che poi verrà ricordata come legge Turco, partiva in 39 comuni italiani la prima sperimentazione del Reddito minimo di inserimento (Rmi) rivolto a 26 mila famiglie povere. Fu il turnover elettorale (con l’arrivo di un governo di centrodestra) a mettere fine in modo prematuro a quella esperienza. Mai nessuna misura successiva è riuscita a bloccare una povertà galoppante che ha raggiunto l’apice proprio nei nostri giorni, con i 5 milioni di poveri assoluti stimati dall’Istat nel 2017. Abbiamo visto passare le diverse Carte acquisti (un contributo di soli 40 euro al mese limitato a minori di 3 anni e over 65) e varie sperimentazioni regionali di sostegno al reddito, quasi sempre col fiato corto, per arrivare al Sostegno per l’inclusione attiva, vera anticamera di quello che diventerà il Reddito di inclusione (Rei) che da luglio 2018 è diventata la prima misura universale, oltre che strutturale, contro la povertà assoluta in Italia. Ci sono voluti 20 anni per raggiungere questo traguardo.
Un nuovo anno zero. Ora, come accaduto in passato sia a livello nazionale che regionale, il nuovo esecutivo targato M5S e Lega vuole mantenere la promessa fatta ai propri elettori: essere un governo del “cambiamento”. Ed è così che la storia rischia di ripetersi. Sebbene non ci sia ancora un disegno di legge, è certo che il Reddito di cittadinanza soppianterà l’attuale Reddito di inclusione. Su Redattore sociale abbiamo voluto verificare lo stato d’attuazione del Rei in alcune grandi città italiane. Una misura che, come mai nessuna prima d’ora, è riuscita ad affiancare ad un’erogazione monetaria anche una presa in carico e il coinvolgimento di diversi attori del territorio, dai servizi sociali al terzo settore. Da Milano a Palermo, da Bologna a Roma, da Firenze, a Bari, le testimonianze raccolte tra istituzioni e terzo settore sembrano confermare che la strada imboccata dal Rei sia finalmente quella giusta, sebbene non ancora sufficiente dal punto di vista delle risorse economiche per raggiungere tutte le persone in povertà assoluta presenti in Italia. Una strada che rischia di essere abbandonata per sole ragioni di consenso e che potrebbero portare nuovamente il nostro paese all’anno zero della lotta alla povertà.
Quello che sappiamo finora sulla nuova misura di questo governo è che non partirà il 1 gennaio 2019. Bisognerà avere un altro po’ di pazienza. Secondo le dichiarazioni politiche degli ultimi giorni, il Reddito di cittadinanza potrebbe partire dal mese di marzo del prossimo anno. Nella legge di bilancio 2019, infatti, si parla dell’istituzione di un Fondo per il Reddito di cittadinanza di 9 miliardi (e sarebbe un record: mai stanziato così tanto contro la povertà in Italia!), ma la misura sarà istituita con un testo di legge ad hoc, successivo alla manovra. La legge di bilancio, infatti, proroga l’attuale Rei fino a quando non ci sarà il nuovo Reddito di cittadinanza. In merito alla nuova misura, i dettagli resi noti dal governo riguardano l’ammontare dell’aiuto economico che sale fino a superare i 700 euro al mese, mentre con il Rei l’importo massimo (per le famiglie numerose) supera di poco i 500 euro. Un ruolo cruciale, stando alle dichiarazioni del governo, verrà affidato ai Centri per l’impiego che verranno (finalmente) riformati in tempi stretti. Nonostante questo, la misura non ha mai convinto appieno l’Alleanza contro la povertà, scettica sulla volontà di affidare un ruolo di primo piano ai Centri per l’impiego, sull’aver inteso la povertà come mancanza di lavoro e sulla volontà di dare uno strappo con le misure dei governi precedenti, a tutti i costi. La più recente voce critica sul Reddito di cittadinanza è quella di Svimez. Secondo il suo ultimo rapporto, la misura rischia di non mantenere le promesse. Sui territori, intanto, la preoccupazione è tangibile: dopo aver lavorato sodo per avviare il Rei e i suoi percorsi di presa in carico, l’unica ipotesi in campo per il prossimo futuro è quella che vede cambiare nuovamente le carte in tavola. Una nuova legge, un nuovo regolamento, un nuovo inizio.
Quello che ci hanno raccontato sui territori. Sebbene sul Rei (ma anche sul Sia e sulle sperimentazioni precedenti) manchino del tutto i dati di quanti siano riusciti a venir fuori dalla zona rossa della povertà assoluta, dalle interviste condotte nelle città oggetto di questo viaggio emergono alcuni aspetti interessanti. Il primo riguarda la diffusione della misura, che in alcuni casi ha visto una crescita notevole dei beneficiari. Come accaduto a Firenze, dove le domande per accedere al Rei sono aumentate in modo “vertiginoso” nell’ultimo anno. Quasi 2 mila le domande presentate al Comune, di cui circa la metà accolte. Dai dati raccolti nel capoluogo toscano, inoltre, emerge un secondo aspetto di particolare interesse. Poco meno della metà delle domande arriva da nuclei familiari sconosciuti ai servizi. Stessa cosa accade a Bari, dove la metà dei 3 mila beneficiari (su 5,8 mila domande) risulta non essere in carico ai servizi. È così che il Rei, quindi, è riuscito ad avvicinare ai servizi dei comuni una fetta importante di persone in povertà assoluta che mai avevano avuto contatti con le istituzioni locali. Un fenomeno evidenziato in passato anche nella capitale, dove la sperimentazione della nuova Social card (che poi diventerà Sia) aveva già fatto emergere dalla zona d’ombra una bella fetta di povertà, con 7 domande su 10 provenienti da poveri sconosciuti ai servizi. Oggi a Roma, invece, a chiedere il Rei sono poco più di 19 mila famiglie (dato aggiornato all’8 ottobre), con un picco di richieste che arriva dai municipi V, VI e VII, ovvero la zona Est della capitale. Le domande risultate idonee nella Capitale ad oggi, inoltre, sono circa il 45 per cento. Il terzo aspetto da tenere in considerazione riguarda, infine, l’avvio della macchina della presa in carico. Dopo anni di tentativi andati a vuoto, sui territori qualcosa si è mosso e si sta muovendo. Come a Milano, dove i servizi sociali sono stati rinforzati con 16 unità di personale per rendere strutturale la presa in carico e facilitare la realizzazione di progetti di reinserimento personalizzati. Nel capoluogo lombardo sono oltre 16 mila le domande presentate ad una rete di 180 Caf sparsi sul territorio e convenzionati con il Comune. Di queste, sono circa 3800 le domande accettate, con un incremento significativo della componente femminile e una diminuzione di famiglie straniere. Anche il Comune di Palermo sta lavorando per potenziare la presa in carico con il rafforzamento del numero degli operatori: nei prossimi mesi sono attesi circa 40 assistenti sociali in più rispetto ad oggi. Nel capoluogo siciliano sono arrivate 18 mila richieste di accesso al Rei. Oltre 7 mila i nuclei familiari con cui si stanno avviando dei progetti di presa in carico.
Con il Reddito di cittadinanza alle porte. Ora che la complessa macchina dello Stato e degli enti locali pare abbia ingranato la marcia giusta, si preannuncia un cambio di passo col passato. E sui territori nessuno di quelli intervistati sembra esserne entusiasta. Al Comune di Bologna temono si metta in discussione l’intero modello di intervento finora realizzato. “Il Comune ha riorganizzato i servizi e ora siamo a regime – ha spiegato a Redattore sociale Giuliano Barigazzi, assessore alla Sanità e al Welfare del Comune di Bologna -. La nuova misura del governo? La preoccupazione c’è, anche perché non abbiamo idea di cosa sarà, visto che cambiano idea tutti i giorni”. Le perplessità “sono enormi”, ha aggiunto Monica Raciti, responsabile Servizio politiche per l’integrazione sociale, il contrasto alla povertà e il Terzo settore della Regione Emilia-Romagna. Anche a Bari ci si augura che con il Reddito di cittadinanza “non vada a perdersi il lavoro fin qui svolto – ha affermato Paola Romano, assessore comunale alle Politiche attive del lavoro -. Attivare una macchina come questa è costato tempo e fatica. Bisognerebbe chiedersi se dobbiamo dare solo un reddito o la possibilità di reinserirsi nella società”. A lamentare il mancato coinvolgimento degli enti locali per la definizione del Reddito di cittadinanza è infine Giuseppe Mattina, assessore alla Cittadinanza solidale, Diritto e dignità dell’abitare, Beni comuni e Partecipazione del Comune di Palermo. “Se con il Rei si stanno dando risposte significative sviluppate in chiave costruttiva – ha spiegato Mattina -, nel caso del Reddito di cittadinanza non abbiamo idea di quello che ci verrà prospettato. Il percorso che ha portato al Rei è il risultato di una concertazione tra diverse realtà. Nell’elaborazione del Reddito di cittadinanza questo non è avvenuto e i comuni non sono stati coinvolti”. (Giovanni Augello)