“Non credo che le elezioni di Midterm, con Democratici più forti, avranno l’effetto di cambiare la politica estera di Donald Trump e di fermarlo sull’Iran. Qualcosa potrebbe cambiare solo se la Guida suprema Ali Khamenei desse al presidente Hassan Rouhani il mandato per un negoziato a due, direttamente con Trump”. A parlare è Mostafa Khosravi, giornalista iraniano fuggito in Italia dopo la repressione del Movimento Verde del 2009, cui aveva partecipato con un partito vicino ai riformisti, e che ora vive come rifugiato politico a Roma. E che crede che, per quanto duri saranno i prossimi anni in Iran, l’alternativa politica alla Repubblica islamica debba nascere solo all’interno del Paese.
Se negoziati diretti con Trump dovessero mai esserci, prosegue Khosravi, l’Iran non dovrebbe nemmeno cedere troppo, nonostante le 12 richieste-diktat ribadite anche nei giorni scorsi dal Segretario di stato Mike Pompeo, inclusa la rinuncia alle sue politiche nella regione. “Quello che basterebbe a Trump sarebbe la bella foto di una stretta di mano storica, come quella fra lui e il nord-coreano Kim Jong-Un. Infatti, che cosa ha ceduto di davvero importante finora, Pyongyang a Washington?”.
Sono in realtà in molti in Iran, secondo il giornalista, a volere un colloquio diretto tra Teheran e Washington, quasi quarant’anni dopo la crisi degli ostaggi nell’ambasciata Usa e la rottura delle relazioni diplomatiche. Una frattura che, aggiungiamo noi, non rispecchia i sentimenti della maggioranza del Paese, a dispetto delle periodiche manifestazioni e degli slogan antiamericani di piazza: gli iraniani sono culturalmente molto più vicini all’America di quanto queste proteste facciano pensare, e 1,5 milioni di loro vivono negli States, benché ora separati dai familiari dal Muslim Ban di Trump.
E l’Europa, che sta cercando di mettere a punto nuovi strumenti finanziari per mantenere i suoi scambi con l’Iran nonostante i rischi delle sanzioni secondarie americane, che ruolo potrà svolgere fino alle prossime presidenziali negli Usa e in Iran? “Ad essere onesti, non credo che il ruolo dell’Europa sia cosi importante – risponde Khosravi –. Contano piuttosto la Russia e la Cina. Due potenze che guardano alla Siria e all’Iran come baluardo contro l’influenza americana in Media Oriente”.
Le incerte sorti di Rouhani
Sul piano interno si aprono intanto tempi difficili non solo per gli iraniani delle classi povere e medie, nuovamente colpiti dagli effetti delle sanzioni sul loro potere d’acquisto e perfino sul loro accesso alle medicine, ma anche per il presidente Rouhani. “Ha perso tutto, gli è rimasto solo l’onore – dice Khosravi – ha puntato sul nuclear deal e ha perso. E non ha rispettato le promesse di maggiori libertà personali, né fatto abbastanza contro la corruzione, che riguarda anche il suo governo. Dopo i prossimi due anni rischia di finire in una condizione simile agli arresti domiciliari come altri ex presidenti”. “La sola opportunità per lui sarebbe la morte di Khamenei mentre è ancora in carica – aggiunge – perché allora potrebbe svolgere un ruolo nella successione, se non succedergli lui stesso. Proprio per questo sul piano interno ha fatto così poco, per non inimicarsi gli ultraconservatori per questa partita. Del resto non è un riformista, ma un conservatore moderato. E ad eleggere la Guida è l’Assemblea degli Esperti, 88 ayatollah che poco o nulla sanno di politica o economia”.
E se in questi due anni di difficoltà interne il controllo venisse preso, magari con un colpo di stato, dai Guardiani della rivoluzione o Pasdaran?
“No, non credo che potrebbe accadere, Pasdaran e soldati regolari – risponde Khosravi sulle due forze militari della Repubblica Islamica – si controllano reciprocamente. Un colpo di stato è già avvenuto nel 2009, e senza carri armati”. Il riferimento è a quello che Onda verde e riformisti ritenevano un deliberato piano di brogli per far vincere il suo secondo mandato a Mahmoud Ahmadinejad, contro i candidati rivali Mir Hosein Mousavi e Mehdi Kharrubi (entrambi ancora agli arresti domiciliari, nonostante si sia parlato di una loro imminente liberazione). Accusa ribadita anche nei giorni scorsi dal leader riformista Mohammad Reza Khatami, vicepresidente del Parlamento, che in un’intervista ha parlato di 8 milioni di voti fraudolentemente aggiunti ai 31 milioni legittimi. Piuttosto, per Khosvravi, si sta preparando l’elezione a presidente dell’ultraconservatore Parviz Fatah, già membro dei Pasdaran e ministro dell’Energia di Ahmadinejad, nonché attuale presidente della potente fondazione (Bonyad) intitolata all’Imam Khomeini.
“Irresponsabile” chi pensa ad un’alternativa politica esterna
Quali i piani invece dell’opposizione politica all’estero? Più che un’alternativa che poggi sull’Mko o Mek – i Mujaheddin del Popolo capaci di una grande influenza sull’opinione pubblica europea e americana, ma odiati in Iran per aver sostenuto Saddam Hussein durante la guerra Iran-Iraq – Khosravi ipotizza un progetto per insediare il figlio dell’ultimo Shah, Reza Pahlavi. Un piano che poggerebbe sul malcontento alimentato proprio dalle ultime mazzate delle sanzioni.
Malcontento in cui però Khosravi vede insito un pericolo: quello di volere ad ogni costo la fine della Repubblica Islamica senza che vi sia un’alternativa politica interna pronta, e legittimata da un consenso interno. Lui, benché sia rifugiato politico, abbia combattuto per anni contro le politiche della Repubblica Islamica e sia finito persino in carcere, non sarà mai d’accordo con chi è pronto a qualunque cosa purché ponga fine all’attuale sistema: una posizione “irresponsabile”, a suo avviso. Del resto sono in tanti anche in Iran a temere questo sviluppo, perché aprirebbe la strada ad una tragica crisi senza fine, simile a quelle della Siria,dell’Iraq e dello Yemen. Piuttosto, sottolinea, qualunque alternativa politica dovrebbe venire non dall’esterno ma dall’interno del Paese.
La cautela delle banche colpisce anche gli iraniani in Italia
Intanto però, da iraniano con asilo politico in Italia, Khosravi si trova ad affrontare problemi molto simili a quelli dei suoi connazionali in patria o all’estero per studio o lavoro. Come quello della prudenza di tante banche italiane che temono le sanzioni secondarie Usa ed evitano di avere rapporti non solo con imprenditori che operano con l’Iran, ma anche con semplici correntisti. Di recente una filiale di Unicredit si è prima rifiutata di accreditargli il compenso di una galleria d’arte Usa per un progetto sui diritti umani, poi lo ha fatto ma “quale esclusivo segnale di attenzione”. Tuttavia, gli è stato scritto, per le restrizioni relative all’operatività in dollari o che coinvolgano persone residenti negli Usa, e nel rispetto della “europea ed internazionale in materia”, in futuro operazioni del genere “nostro malgrado non potranno essere accolte”.
Una scelta che ha lasciato perplesso un analista italiano, che preferisce non essere nominato, secondo il quale invece la transazione era pienamente legittima. “Si tratta piuttosto – ha osservato – di una policy aziendale self- inflicted, che spinge all’over compliance”, “la vera piaga da combattere che farà più danni dell’effetto delle sanzioni Usa”.
Un passo indietro lo ha dovuto compiere alla fine anche la Banca Popolare di Sondrio, che ha finora garantito un canale finanziario sia agli italiani che operano in Iran che agli iraniani che vivono o fanno affari in Italia. Dopo le sanzioni Usa partite il 16 ottobre contro una ventina di aziende e istituzioni finanziarie legate alla fondazione Taavon Basij – ritenuta sostenitrice dei Basij, miliziani volontari legati ai Pasdaran, ma i cui legami con gli enti sanzionati possono essere in realtà difficilmente rintracciabili – i vertici della Popolare di Sondrio hanno deciso appunto di sospendere tutte le attività con l’Iran per l’accresciuto rischio che comportano. A finire nella lista nera erano state infatti banche di grande rilievo come la Parsian Bank – punto di riferimento all’estero anche per le forniture medicali e umanitarie. Un cambiamento di rotta in parte rientrato nei giorni scorsi, visto che la Popolare ha deciso di riprendere ad operare con una decina di banche iraniane.