Presentato a Roma il dossier di Legambiente che fotografa le best practice di accoglienza dei migranti nelle aree interne e nei piccoli comuni italiani. Storie di vera inclusione, che ora sono a rischio con il decreto sicurezza. La cartografia della degna accoglienza.
Ostana è uno dei borghi più belli d’Italia. Si trova in provincia di Cuneo, a 1280 m. di latitudine, “sorvegliato” dal monte Monviso, stretto a valle tra le Alpi piemontesi. Qui i residenti sono 80, ma solo la metà ci vive tutto l’anno, e tra di loro ci sono 6 cittadini pakistani che sono ospiti di un piccolo centro di accoglienza. Ad Ostana i migranti all’inizio non li volevano, tanto che i cittadini di alcuni comuni limitrofi avevano dato vita a una petizione perché «temevano il crollo dei valori immobiliari». «Ora molte di quelle persone hanno cambiato idea – dice il primo cittadino Giacomo Lombardo – anche grazie alla ferma volontà manifestata fin dall’inizio dall’amministrazione comunale, che, all’unanimità, aveva approvato il progetto di accoglienza, e al percorso di integrazione che abbiamo contribuito a creare successivamente». Tra qualche giorno nel minuscolo comune alpino comincerà anche il festival Migrazioni. Sempre in Piemonte, ma in provincia di Asti, i comuni di Chiusano, Castellero, Cortandone, Monale e Settime, hanno dato vita al progetto Agape, «per cercare di dare corpo all’idea dell’accoglienza diffusa, che non fosse invasiva per il territorio e non creasse conflittualità», racconta la sindaca di Chiusano d’Asti, Marisa Varvello: «Il progetto Agape ospita attualmente 45 richiedenti asilo distribuiti tra i diversi comuni: uomini soli, famiglie con bambini e donne sole vittime di tratta». Chiosa la sindaca:
«E non c’è stato mai nessun problema di convivenza tra italiani e stranieri».
Nessuna tensione con i residenti c’è mai stata neppure in provincia di Ivrea, dove esiste il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) – uno dei migliori in Italia – gestito dalla cooperativa Mary Poppins, e ci sono anche sullo stesso territorio altri sette centri di accoglienza straordinari che ospitano le persone dalle origini e dalle nazionalità più diverse (nigeriani, maliani, pakistani) distribuiti all’interno di 50 appartamenti. Non solo. «Altri comuni della zona hanno attivato la procedura per l’accoglienza Sprar, ma con il nuovo decreto sicurezza sono fermi», rivela Aldo Zanetta, uno dei promotori dell’Osservatorio Migranti, un coordinamento di associazioni, laiche, religiose, e di singoli, «per la difesa dei diritti e delle potenzialità dei richiedenti asilo e rifugiati».
Quando il primo cittadino di Riace, Mimmo Lucano, è stato arrestato; Silvio Aimetti, sindaco del comune di Comerio, 2800 anime in provincia di Varese, importante feudo leghista, ha scritto una lettera al Ministro degli Interni, Matteo Salvini, spiegando che, nel comune da lui stesso amministrato, da circa tre anni, era nato un particolare progetto di accoglienza, con il duplice scopo di rispondere alle istanze sociali degli stranieri, e supportare economicamente gli italiani disoccupati .
«Ho voluto mandare, da subito, il messaggio che accoglienza non significa trascurare gli italiani, anzi, che in tal modo riuscivamo a reinserire gli italiani nel mondo del lavoro»,
dice il sindaco di Comerio, che nel 2015 prese alla lettera chi gli diceva di ospitare i migranti a “casa sua”, mettendo a disposizione in favore della cooperativa Lotta contro l’Emarginazione, gratuitamente, un appartamento di sua proprietà. E poi, a Brescia, nei comuni della Val Camonica, a Lecco, a Pettinengo, in provincia di Biella, a Cividade del Friuli, in provincia di Udine, sono davvero tanti i piccoli comuni, anche in terre tradizionalmente leghiste, che hanno puntato sull’accoglienza degna dei migranti e richiedenti asilo. Scendendo più a Sud, troviamo, nel Lazio, le best practice realizzate dal progetto Sprar Aida gestito dall’ Arci in collaborazione con le amministrazioni comunali di Roma, Monterotondo e Colleferro. Qui vengono ospitate esclusivamente donne.
«Molte vengono dalle esperienze drammatiche vissute in Libia: violenze, stupri, torture. Altre, invece, sono vittime della tratta e del racket della prostituzione»,
racconta Claudio Graziano, responsabile di Arci Roma.
Nella Capitale, lungo l’antica via Casilina, ha sede Casa Scalabrini 634, programma dell’ Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo, organizzazione impegnata in attività di tutela di migranti e rifugiati in 32 Stati del mondo. Casa Scalabrini ha scelto fin dall’inizio delle sue attività di di non inserirsi nel sistema delle sovvenzioni pubbliche, essendo finanziata da parrocchie, aziende, singoli e fondazioni private; e porta avanti sul territorio romano diversi progetti e corsi di formazione gratuiti e aperti a tutti (migranti e comunità locali) quali, tra gli altri, corsi di inglese, di italiano, di informatica, di sartoria, di agricoltura sociale, e di web radio.
Più a sud di Roma, dai piccoli comuni dell’Irpinia alle aree interne della provincia di Campobasso, fino alle punte più estreme della Puglia, (a Uggiano La Chiesa, per esempio, vicino Otranto, il sindaco Salvatore Piconese ha fatto dell’accoglienza ai migranti una bandiera dell’amministrazione) e della Calabria, crescono ovunque le buone pratiche di accoglienza nei comuni più piccoli e nelle aree interne. In Calabria, sul modello Riace, esiste ormai una ampia letteratura. Ma ci sono anche altri municipi virtuosi. Gioiosa Ionica, in provincia di Reggio Calabria, ospita, per esempio, nell’ambito dei progetti gestiti dall’Associazione Rete dei Comuni Solidali (Recosol) nuclei familiari siriani arrivati in Italia attraverso i corridoi umanitari realizzati dalla Federazione delle Chiese Evangeliche (Fcei), dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Tavola Valdese.
Storie di inclusione e degna accoglienza, di buona convivenza tra italiani e stranieri, dunque. Che ora sono tutte raccontate all’interno del dossier presentato stamattina a Roma da Legambiente: L’accoglienza che fa bene all’Italia.
«Vogliamo parlare con questo dossier di ciò che funziona, che fa bene al Paese e all’Europa – dice così il vicepresidente di Legambiente, Edoardo Zanchini – di ciò che fa bene all’Italia, o meglio, di ciò che faceva bene, dato che la legge nº840 (che converte il dl.133) che è in questi giorni in discussione alla Camera rende vani tutti i tentativi che sono stati fatti in questi anni». «E cioè – contiua Zanchini – di intrecciare l’accoglienza con integrazione e sviluppo locale, in un’ottica di cooperazione tra istituzioni, terzo settore e imprese». «La questione vera è da che parte si sta», ha detto la senatrice del Movimento Cinque Stelle, Paola Nugnes, che nei giorni scorsi si era espressa contro il Decreto Salvini, uscendo dall’aula durante il voto al Senato. Oggi Nugnes, intervenendo durante la presentazione del rapporto di Legambiente, ha detto: «Finora noi del M5S ci siamo autocensurati, ma credo che su questi temi sia una questione di demarcazione. E che sia giusto e necessario scegliere da che parte stare». «Sulla questione degli accordi tra il precedente governo e la Libia, o sui decreti Minniti, per esempio – ha aggiunto la Nugnes rivolgendosi all’ex ministro Graziano Del Rio, anche lui intervenuto all’incontro – era necessario prendere posizione e io l’ho fatto». Più in generale, sulle politiche in materia di migrazioni, è un fatto, si è registrata una convergenza di intenti tra la Nugnes e i deputati di Liberi e Uguali, Rossella Muroni e Erasmo Palazzotto e di Riccardo Magi dei Radicali Italiani, tutti intervenuti nel corso della presentazione del dossier. La strada per uscire dalle politiche emergenziali la traccia l’europarlamentare Elly Schleyn: «è necessario fare una grande operazione di verità sul fenomeno dei flussi migratori, i numeri e le storie dicono che non siamo di fronte ad una invasione; queste persone rappresentano lo 0,3% dell’intera popolazione europea. Pertanto, è necessario attivare concretamente tra gli stati un meccanismo di solidarietà e condivisione di responsabilità». «Ed è necessario inoltre – conclude la Schleyn – svelare la grossa ipocrisia di chi dice “aiutiamoli a casa loro” senza fare i conti con le ragioni da cui le persone fuggono; le quali hanno a che fare, appunto, con i nostri modelli di consumo e sviluppo e con i nostri investimenti nei Paesi di origine».