Intervenendo nel corso del dibattito ‘Democrazia e informazione’, organizzato a Bari dall’Assostampa Puglia, Lorusso ha aggiunto: «Ci preoccupano anche i tamburi di guerra che si odono già all’orizzonte, perché interventi sono stati annunciati sia sul versante dell’emittenza radiotelevisiva locale, sia sul versante delle agenzie di stampa. Vorrei segnalare che l’azzeramento del fondo per l’editoria comporterebbe, soltanto nel settore giornalistico, la scomparsa di mille posti di lavoro più l’indotto. Se qualcuno pensa che questo Paese possa reggersi solo sul reddito di cittadinanza credo abbia fatto male i conti».
Con il segretario generale e con il presidente dell’Assostampa, Bepi Martellotta, è intervenuto a Bari anche il presidente Fnsi, Giuseppe Giulietti. «Il presidente della Repubblica per sei volte in un mese ha dovuto ribadire che la libertà di informazione è essenziale per la democrazia. Se il presidente della Repubblica sente la necessità di dirlo sei volte, vuol dire che c’è qualche rischio sulle nostre teste, ed è dovere di tutti i giornalisti italiani difendere la libertà di informazione da ogni infamia, da ogni aggressione, da ogni parolaccia e da ogni minaccia. Chi tira una testata contro un cronista sta tentando di oscurare il diritto dei cittadini a essere informati», ha ribadito.
Per Giulietti, «è giusto criticare i giornalisti, ma quando si dice facciamo una legge sull’editoria per chiudere i giornali che non ci piacciono, o si dice chiudiamo il fondo per l’emittenza e buttiamo per la strada centinaia di lavoratori, o chiudiamo il fondo per l’editoria e mandiamo migliaia di lavoratori a casa, quasi tutti precari, non si sta affermando una critica, si sta affermando una minaccia all’articolo 21 della Costituzione».
La categoria, ha aggiunto il presidente della Fnsi, «deve reagire come sta facendo: con grandi manifestazioni non dei giornalisti, ma di tutte le associazioni che hanno a cuore la libertà di informazione e pubblicando su tutti i giornali l’articolo 21 della Costituzione e arrivando, se necessario, a una manifestazione nazionale o allo sciopero generale, convincendosi che non è un attacco a una corporazione ma un attacco ai valori fondanti della Costituzione».
Numerosi i temi trattati nel dibattito, tra cui, ad esempio, quello del precariato nel settore giornalistico. «Ci sono tanti modi per colpire l’informazione, anche promettendo a parole il contrasto al lavoro precario ma poi facendo esattamente il contrario», ha incalzato Lorusso, segnalando poi che «il ministro Di Maio, il quale negli ultimi giorni si è nascosto dietro la bandiera dei precari, è stato colui che in occasione del cosiddetto decreto Dignità ha bocciato l’emendamento dei parlamentari di minoranza con cui si puntava al superamento della figura del co.co.co, che ad oggi rappresenta la forma più diffusa di sfruttamento del lavoro giornalistico».
Di Maio, ha proseguito Lorusso, «ha impedito l’approvazione di quell’emendamento anche nei giorni scorsi quando è stato ripresentato alla Camera dagli stessi parlamentari come emendamento alla legge di Stabilità, ed è stato nuovamente bocciato su richiesta del governo».
Quello che sta avvenendo in Italia sul versante dai rapporti tra il potere politico e i media, del resto, non è una novità sul piano internazionale. «I Cinque Stelle non si sono inventati nulla. Vediamo quello che combina ogni giorno negli Stati Uniti il presidente Trump. Io credo che Di Maio in Italia, con qualche suo amico del M5s, non faccia altro che scimmiottare Trump. Se il modello è quello di creare una desertificazione non soltanto sotto il profilo dei sostegni pubblici, ma anche sotto il profilo delle eventuali agevolazioni che sul mercato possono trovare coloro che investono nel settore dell’informazione, è chiaro che il modello è quello di togliere di mezzo l’informazione intesa come mediazione tra i fatti che non sono ancora notizia e i cittadini, per consentire al capo di parlare alla folla attraverso il suo balcone mediatico».
Per il segretario generale della Fnsi, infine, «bisogna tenere conto del fatto che la democrazia si alimenta di buona informazione che possono fare soltanto i giornalisti, quindi coloro che esercitano la professione. A condizione che questa professione venga garantita anche sotto il profilo materiale. La grande illusione che sia sufficiente aprire un profilo su un social network, piuttosto che un blog, per essere giornalisti è un falso, perché quella del giornalista è una professione che risponde a determinate regole. A differenza di chi sui social network o sul proprio blog va a sfogare i propri istinti più bassi, piuttosto che a insultare qualcuno, i giornalisti hanno dei doveri».