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Il governo populista inciampa sulla “ceppa”

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Il “governo del cambiamento” traballa sul caso “ceppa”. Da settimane esplodono a ripetizione i contrasti tra Lega e M5S. Prima sull’Ilva di Taranto e poi sul gasdotto in Puglia (Tap) sono scoppiate le scintille: si tratta di opere, volute dai leghisti e contrastate dai cinquestelle in nome dell’ambiente, ma poi attuate. Poi è stato il turno dell’alta velocità ferroviaria Torino-Lione (Tav) sostenuta dal Carroccio e avversata dai grillini: è passata la linea della sospensione della decisione in attesa dell’analisi costi-benefici (ma a Torino sono scese in piazza 30 mila persone innalzando manifesti “Sì Tav”).

Quindi in Parlamento è divampato un match sul condono immobiliare ad Ischia, voluto dai pentastellati e contrastato dai leghisti, ma passato. Un altro braccio di ferro si è sviluppato sul condono fiscale proposto dal Carroccio e osteggiato dal M5S e quindi svanito dai progetti del governo. Un nuovo scontro è scoppiato sul decreto sicurezza-immigrati, uno dei cavalli di battaglia di Matteo Salvini: al Senato è stato approvato, ma vari senatori cinquestelle hanno rifiutato di votarlo. E ancora: una nuova tassa sulla Coca Cola e sulle bevande zuccherate, proposta dai grillini e osteggiata dai leghisti, è stata bocciata alla Camera.

Quindi è arrivato lo scontro, dai toni molto più ruvidi e volgari, sulla “ceppa”. I protagonisti, questa volta, sono stati direttamente Salvini e Di Maio. Per la prima volta i capi della Lega e del M5S, i due vice presidenti del Consiglio, le due colonne dell’esecutivo presieduto da Giuseppe Conte, sono entrati pubblicamente in rotta di collisione. Salvini ha innescato la miccia. Il 15 novembre dalla prefettura di Napoli, ha detto basta alla politica dei “no” sollecitando una terapia d’urto contro i rifiuti urbani: «Serve un termovalorizzatore per ogni provincia». Il ministro dell’Interno si è domandato «perché in Lombardia ci sono 13 impianti e in Campania 1?».

Luigi Di Maio non ha preso bene l’invasione di campo nella Campania, la sua regione e ha tirato fuori l’arma della “ceppa”. Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico prima ha argomentato: «La terra dei fuochi è un disastro legato ai rifiuti industriali, provenienti da tutta Italia». Subito dopo ha sparato: «Quindi gli inceneritori non c’entrano una beneamata ceppa e tra l’altro non sono nel contratto di governo». Si è detto dispiaciuto con Salvini perché «crea tensioni nel governo».

È esplosa la “guerra della ceppa”. Salvini ha rilanciato determinato: «Gli inceneritori sono fondamentali…Quindi li faremo, e senza ceppa».

La parola “ceppa” non è certo un termine elegante da usare in una polemica, in particolare tra i due più importanti ministri dell’esecutivo. Letteralmente, come ceppo, indica la parte sottoterra di un albero e quel che resta all’esterno del terreno dopo il taglio del tronco. In senso metaforico, però, allude agli organi genitali maschili. Si può usare in modo più garbato anche “mazza” e “piffero” o direttamente “cazzo”. Nella variante al femminile è utilizzata anche “minchia” e “fava”.

Di Maio ha usato la locuzione «beneamata ceppa» (versione meno cruda al femminile) per contestare Salvini sui termovalorizzatori. In questo modo è scoppiata, anche in termini sboccati, la spaccatura nel governo tra Salvini e Di Maio, tra l’impostazione produttivistica della Lega e quella ambientalista del M5S. Soprattutto è emersa la debolezza del governo giallo-verde e, quella, in particolare del capo politico grillino costretto a inseguire il segretario leghista con parole volgari per non perdere la scena.

Il governo è ferito e indebolito: sono lontani i tempi della compattezza populista, quando Salvini e Di Maio agivano all’unisono: così venivano raffigurati su un muro di Roma come due amanti mentre si abbracciavano e si davano un appassionato bacio in bocca.

In fondo questi sono problemi minori rispetto allo spread stabilmente sopra i 300 punti e la Borsa di Milano in continua caduta da mesi. L’esecutivo penta-leghista è alle prese con la manovra economica 2019 pesantemente criticata da Bruxelles: il rischio, senza le modifiche richieste per ridurre il deficit pubblico, è di prendersi dalla commissione europea la procedura d’infrazione (con le relative sanzioni) per la violazione «senza precedenti» delle regole sull’euro.

A quel punto lo spread potrebbe esplodere fino a 400-500 punti con gravissime conseguenze per i conti pubblici, il sistema produttivo, l’occupazione e i risparmi degli italiani. C’è la ricerca spasmodica all’ultimo minuto di una mediazione, sperando che arrivi. Il rischio è di passare dalla “ceppa” al “cippo”, un sostantivo dal significato lugubre.


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