Due alti ceri illuminano con la loro fiamma tre leggii in una stanza buia e angusta, oltre la finestra il vento spazza il giardino della villa che fu ultima dimora di Galileo, prigioniero della Chiesa per eresia, prigioniero di un modo di vedere le cose troppo ristretto per colui il quale, attraverso il cannocchiale, ingrandì l’universo. Nella penombra scorgiamo dietro al leggio l’esile figura di suor Celeste, ovvero Virginia, la maggiore dei tre figli che Galileo aveva avuto con Marina Gamba a Padova. Virginia e sua sorella Livia, compiuti sedici anni, sono state costrette dal padre a prendere i voti. Livia, divenuta suor Arcangela, taglia i ponti con il padre a causa della costrizione, mentre Virginia sceglie il nome di Suor Maria Celeste e mantiene un contatto epistolare con il genitore.
Proprio da queste lettere Marcello Lazzerini estrapola lo spettacolo teatrale “Celeste e Galileo”, già proposto in passato da La Compagnia delle Seggiole e oggi ripresentato sotto forma di lettura radiofonica, per permettere agli spettatori la visita della villa Il Gioiello, scelta come dimora da Galileo per poter essere più vicino alle figlie in convento. La gentile voce di Silvia Vettori evoca l’amore di suor Celeste per il padre, mentre parla della difficile vita monacale e esprime apprensione per le controversie nate dalla pubblicazione degli scritti avversi agli aristotelici. La voce di Fabio Baronti invece dà vita a un Galileo travagliato, diviso fra la volontà di diffondere le sue idee rivoluzionarie, controbattendo con la ragione l’oscurantismo della Chiesa, e la paura di venire perseguitato e ridotto al silenzio.
Il dialogo epistolare crea subito un forte contrasto: da una parte la figlia oppressa dalla povertà della vita monacale, costretta a chiedere donazioni al padre e spaventata dall’epidemia di peste che aveva colpito Firenze, dall’altra un uomo, padre prima che della figlia di tutta la scienza moderna e quindi divorato dalla brama di difendere il suo “Dialogo”. In questo confronto si intromette un terzo personaggio, la personificazione dell’oppressione e assoluta nemesi di Galileo: la voce ora potente e persuasiva ora melliflua e accomodante di Massimo Manconi caratterizza il personaggio di padre Maculano, l’Inquisitore. Le accuse che questi rivolge a Galileo sono molteplici: l’uso del volgare nei propri scritti anziché il latino, la confutazione del sistema Tolemaico, l’eresia rispetto alle sacre scritture. L’Inquisitore vede Galileo come un sovversivo, pericoloso come Lucifero che si oppone a Dio nel “Paradise Lost” di Milton (citato nel corso dello spettacolo e peraltro ricevuto proprio nella villa Il gioiello dallo stesso scienziato pisano).
Galileo è sempre più preoccupato perchè inizia a capire che a poco potrà valere la sua amicizia con il papa e l’apertura di alcuni uomini di fede alle idee copernicane: comprende che gli interessi politici in ballo nella santa sede poco hanno a che fare con le dimostrazioni empiriche e con la ricerca della verità scientifica. La Chiesa è in un periodo in cui non può permettersi di vacillare e a farne le spese sono le pubblicazioni dello scienziato. Galileo, sempre più in pena, scrive con maggior frequenza alla figlia per cercare nell’affetto di lei conforto rispetto all’abominio che gli è richiesto, il sacrificio più grande per un ricercatore e uno scienziato: l’abiura. In una scena fortissima, una voce proveniente dal buio (ovvero la voce registrata di Marcello Allegrini), quella del cardinale d’Ascoli, tuona la sentenza, la musica si alza divenendo sempre più enfatica e Galileo/Baronti solleva le mani come a simboleggiare la messa in croce delle sue idee e dunque abiura. Alla fine la figlia chiederà a Galileo se quanto si dice in giro sul fatto che, dopo l’abiura, egli abbia, nel rialzarsi battuto un tacco in terra dicendo “Eppur si muove”. Non sappiamo se la frase l’abbia pronunciata realmente, ma una risposta possiamo darla citando la lettera che Galileo scrisse alla Granduchessa madre Cristina di Lorena “l’intenzione dello Spirito Santo essere di insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il Cielo”.
La Compagnia delle Seggiole riesce con pochissimi elementi ma con interpretazione eccellente a far vivere il testo di Marcello Lazzerini rendendolo fruibile e coinvolgente. Grazie alla Compagnia, la disadorna villa Il Gioiello (priva di mobilio poiché Galileo vi era solo in affitto e il figlio portò via tutto) sente riecheggiare nelle sue stanze le parole dell’astronomo e permette ai presenti di immaginare Galileo preso dalla vita quotidiana. La successiva visita guidata aiuta ancora di più a riportare Galileo a un livello umano, mettendone a nudo gli interessi e le abitudini.
Lo spettacolo si colloca all’interno del progetto “Incontra la Crusca” organizzato dall’Accademia della Crusca, frequentata dallo stesso matematico pisano che aiutò a coniare alcuni termini del primo Vocabolario della lingua italiana. La scelta del volgare per le proprie opere dimostra la volontà di Galileo di diffondere le nuove teorie e scoperte non a una ristretta cerchia di accademici bensì al maggior numero possibile di lettori, rendendolo un vero e proprio divulgatore scientifico; è dunque fondamentale combattere l’oscurantismo e l’assolutismo con la calma sobrietà della scienza e della cultura, senza le quali ci aggireremmo ancora in un “oscuro labirinto”, per riprendere le parole del Galilei.