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Il diritto all’informazione e il dovere di darla sono l’essenza della democrazia

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All’indomani dell’assoluzione della Sindaca Raggi – (con la formula, si noti, “perché il fatto non costituisce reato” e non perché “il fatto non sussiste”) – i vertici del M5S (partito di governo) hanno violentemente investito, con oltraggiosi epiteti, i giornalisti, “rei” di avere “massacrato” la Raggi, accusandoli di essere: “infimi sciacalli”, “puttane”, “pennivendoli”, “cani da riporto di mafia capitale” ecc.. Ora – quali che siano le colpe della Raggi (non poche, soprattutto in “eligendo”: v. i casi Marra e Lanzalone, entrambi arrestati), o i meriti della stessa (non molti) e, anche se taluni giornali, i soliti adusi più a diffamare che ad informare, abbiano utilizzato espressioni scandalistiche nei confronti della sindaca – i toni usati dagli esponenti del M5S, sono inaccettabili, così come è inaccettabile l’affermazione del “premier” Giuseppe Conte: “come spesso voi attaccate violentemente noi può capitare che anche voi veniate attaccati violentemente: ci sta”. Queste affermazioni sono inaccettabili, in uno Stato di diritto, soprattutto perché provengono da esponenti del governo, uno dei quali addirittura Presidente del Consiglio e, tra l’altro, l’altro professore ordinario di diritto.

Il governo del cambiamento non appare, quindi, avere nei confronti del rapporto tra giornalista e potere, un atteggiamento diverso dai precedenti. Il problema è sempre lo stesso: la classe dominante ha un rapporto improprio con l’art. 21 della Costituzione sotto il profilo del diritto all’informazione.

Il diritto all’informazione, seppur non espressamente menzionato dalla Carta costituzionale repubblicana, è strettamente legato alla libertà di manifestazione del pensiero prevista dall’art. 21 della Costituzione italiana.

Il diritto all’informazione è un diritto sociale relativamente recente tant’è che, nell’ordinamento italiano, solo dal 1994 si ha una definizione data dalla giurisprudenza della Corte costituzionale della Repubblica Italiana, su cui, peraltro, tuttora si discute. La Corte, con la sentenza 7 dicembre 1994 n° 420, dichiarò, infatti, che è necessario “garantire il massimo di pluralismo esterno al fine di soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all’informazione”, che, quindi, si pone come uno dei diritti fondamentali della società moderna.

In sostanza, il diritto all’informazione si configura come una conseguenza del principio democratico, poiché un regime democratico necessita sempre di una pubblica opinione vigile e informata.

Può, quindi, affermarsi che il diritto all’informazione e il dovere di darla sono l’essenza della democrazia: i cittadini devono sapere per poter decidere (come ebbe a dichiarare Luigi Einaudi).

Se questo è vero, se, cioè, è vero che i cittadini hanno diritto ad essere informati e se è vero che la libera informazione è – come afferma la Corte Europea dei diritti dell’uomo – il vero “cane da guardia” della democrazia e delle istituzioni, e se è vero, ancora, che la democrazia richiede imprescindibilmente una partecipazione “cosciente” dei cittadini, allora il presupposto essenziale della democrazia è l’informazione e, cioè, la conoscenza dei fatti e delle situazioni politiche, onde consentire ai cittadini di formulare critiche e censure nei confronti di tutti coloro cui sono affidate pubbliche funzioni che devono essere adempiute “con disciplina e onore” secondo il dettato costituzionale sancito dall’art. 54 della Carta.

E, poiché, la cronaca è narrazione di fatti rivolta alla collettività, se ne deduce che la sua funzione è quella di informare la collettività. Quella collettività il cui ruolo, nella società democratica, è inequivocabilmente delineato dall’art. 1 Cost., laddove dice che “La sovranità appartiene al popolo”. Ed è proprio questa attribuzione di sovranità a connotare ulteriormente la funzione della cronaca.

La collettività, infatti, delega periodicamente la gestione della “cosa pubblica” (res publica) ai suoi rappresentanti eletti in Parlamento. E la delega deve avvenire con piena cognizione di causa. La collettività deve avere un quadro dettagliato sia di ciò che accade nel Paese, sia delle persone alle quali delega l’esercizio della sovranità. Ma, non disponendo di mezzi idonei, ecco che gli organi di informazione si incaricano di puntare i riflettori su quegli aspetti la cui valutazione determina la scelta del delegato. Di qui l’insostituibile funzione della cronaca: la raccolta di informazioni e la loro diffusione, in virtù del rapporto privilegiato che gli organi di informazione vantano con la realtà, allo scopo di consentire al popolo un corretto e consapevole esercizio di quella sovranità che l’art. 1 Cost. gli attribuisce.

Conclusivamente, sotto questo aspetto si può dire che la collettività vanta un vero e proprio diritto all’informazione: o perché è funzionale all’esercizio di quella sovranità che per Costituzione le appartiene, o perché ne favorisce la crescita in termini culturali e intellettuali.

Spetta, quindi, a tutti i cittadini, e in particolare ai giornalisti, il diritto-dovere di far conoscere, criticare e analizzare liberamente i comportamenti degli uomini pubblici, che devono essere trasparenti e sottoposti al massimo controllo democratico, perché la democrazia si nutre di controlli che devono essere effettivi e non meramente apparenti. C’è un controllo sociale che si esercita attraverso una informazione incisiva rispetto al potere, purché libera e pluralista. Ne consegue che, se la notizia riguarda un cittadino cui sono state affidate funzioni pubbliche da adempiere, come si è già detto, “con onore”, essa deve essere pubblicata. Naturalmente è necessario, per non ledere altri diritti, come quello all’onore e alla reputazione delle persone, rispettare i limiti consueti: veridicità, interesse pubblico, continenza cioè modalità espositive corrette e non subdole. E, in proposito, non sembra superfluo rendere più rigoroso il codice deontologico dei giornalisti per evitare abusi che pur si sono verificati soprattutto in presenza di campagne diffamatorie finalizzate a colpire pubblici personaggi (c.d. macchina del fango), ed è necessario mantenere ferme le attuali tutele che l’ordinamento giuridico appresta ai soggetti la cui reputazione sia stata gravemente lesa. Ma il diritto di cercare, di diffondere e di ricevere le informazioni è fondamentale per la sussistenza di una democrazia.

*già Presidente della II sezione penale della Corte di Cassazione


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