Il 4 novembre si celebra la festa dell’unità nazionale, non tanto delle forze armate, quanto dei caduti in guerra. Oltre seicentomila morti per un’inutile guerra. A questi vanno aggiunti, centinaia di migliaia di civili morti per denutrizione e malattia. Generazioni intere spazzate vie sulle trincee e sugli altopiani, migliaia di uomini fucilati per mantenere la disciplina su ordini militari speciali. Questa è stata la grande guerra. Per questo il 4 novembre non è tanto la data della vittoria, quanto la data che segna la fine di un’inutile strage frutto di una altrettanto inutile guerra. Non una vittoria ma una data che ricorda la follia della guerra e l’orrore del bellicismo frutto esasperato del nazionalismo. Mio nonno, Cavaliere di Vittorio Veneto e croce di guerra al valor militare, quel conflitto bellico l’ha combattuto a soli diciotto anni. Mi raccontava che si beveva l’acqua delle patate e se ne mangiava la buccia poiché la patata spettava agli ufficiali.
Mi raccontava delle carneficine e delle fucilazioni di massa. I suoi amici che morivano per le ferite di guerra o peggio per fame e freddo. Una caratteristica riempiva tutti i suoi giorni in marcia e in trincea: la forte esplosione delle cannonate. Quando si attaccava il “nemico”, non si poteva tornare indietro poiché si sarebbe subita l’immediata fucilazione. Se il 4 novembre ha un significato, è esattamente quello di ricordare alle nuove generazioni che le guerre non hanno mai senso e che quegli inutili massacri di esseri umani dovrebbero ricordarci il valore della pace. Dovrebbe essere un monito alla follia umana. Sulle trincee e sui luoghi delle carneficine e delle fucilazioni di massa bisognerebbe tornare, per vedere, per capire, per imparare a non sbagliare più. Un esercizio di ricordo utile non per celebrazioni inutili ma per evitare che un domani un paese senza memoria, un mondo senza memoria, possa pensare di ripiombare in quell’orrore chiamato guerra. Sarebbe questo il modo giusto per celebrare il 4 novembre e, magari, chiedere scusa a tutte le vittime di guerra e ai loro familiari.