Dieci anni, un tempo lunghissimo: la mia avventura in Articolo 21 è cominciata allora, sul finire di ottobre del 2008, nei giorni dell’Onda studentesca e delle battaglie interminabili contro la riforma Gelmini. C’era Berlusconi e c’era ancora il centrosinistra, il Partito Democratico sembrava avere un senso e Veltroni ne era il segretario. Una settimana dopo, un senatore afroamericano dell’Illinois sarebbe stato eletto presidente degli Stati Uniti. Adoravo Obama, una sorta di venerazione, e la stima vi confesso che ha resistito al tempo e alle inevitabili delusioni che ogni longeva esperienza politica reca con sé.
Dieci anni e la battaglia in nome della libertà d’informazione è più attuale che mai, in questi giorni di nomine in RAI e di sovranismo dilagante che intacca i fondamenti stessi della nostra Costituzione.
Dieci anni e molti che erano al nostro fianco non ci sono piu: qualcuno perché purtroppo se ne è andato, penso innanzitutto a Tania Passa, a Santo Della Volpe e al maestro Federico Orlando, altri perché si sono adeguati al corso degli eventi, e questo sinceramente mi mette tristezza, anche se mi ha aiutato a comprendere meglio alcune dinamiche della natura umana e dei rapporti personali e politici.
Dieci anni e quante ne abbiamo combinate, caro Articolo 21! Assisi, Acquasparta, assemblee, riunioni, iniziative: era il 12 novembre 2008 quando parlai per la prima volta di fronte a una platea che allora mi sembrava inarrivabile e, nel corso del tempo, mi ha insegnato molto, fino a diventare mia amica e compagna di strada.
Dieci anni e rifarei paro paro il discorso di quella sera, quando mi dissi orgoglioso dei miei genitori, di essere figlio di un’insegnante e di un ricercatore, dei valori che mi hanno trasmesso, della solidità che mi hanno fornito, dell’amore che mi hanno donato e dello straordinario rispetto per la cultura che ho acquisito, grazie a loro, nel corso della mia vita, fino a trasformarla nella mia missione, nella mia più grande passione, nella ragione stessa del mio impegno politico e civile.
Dieci anni e scrivo nei giorni di Trump, della mattanza nella sinagoga di Pittsburgh, della violenza diffusa e planetaria, di Bolsonaro e del ritorno della democratura in Brasile, della fine dell’era Merkel, che dieci anni fa era nel pieno del suo fulgore, e della crisi epocale del Vecchio Continente. Scrivo nei giorni dell’incertezza, di una crisi che all’epoca era all’inizio e ora si è trasformata in un rivolgimento destinato a condizionare i prossimi decenni, mentre le tigri asiatiche avanzano a marce forzate e il Patto Atlantico sembra non avere più alcun senso.
Dieci anni e penso a Carlo Giuffré, scomparso all’età di ottantanove anni, al termine di un’esistenza a sua volta spesa in nome della cultura e della bellezza, del teatro e di quella meraviglia napoletana che sono le opere di Eduardo De Filippo. Ho appreso della sua scomparsa e la mia mente è subito corsa a ciò che abbiamo perso, a quale patrimonio straordinario ci sta progressivamente lasciando, a quanti giganti risiedano ormai nella galleria dei miei ritratti, in questa Spoon River personale e collettiva che rende meglio di ogni altra cosa l’idea dell’addio definitivo al Novecento e del bisogno di costruire la narrazione e di trovare i modelli di un secolo assolutamente imprevedibile.
Dieci anni e, nel frattempo, una nuova umanità è salita alla ribalta, rivendicando i propri diritti a livello planetario e costruendo partiti, associazioni, movimenti, iniziative che non c’erano mai state e con le quali siamo ora chiamati a confrontarci, riflettendo sul nostro passato, non smettendo mai di considerare la storia e i suoi insegnamenti ma, al contempo, non rinunciando al coraggio di inventare il domani e di viverlo nella sua interezza.
Dieci anni e nessun punto di riferimento di allora è più valido, almeno in politica, specie se pensiamo che allora non era ancora nato il M5S, Grillo aveva da poco celebrato a Torino il secondo V-Day e sembrava impossibile che, in un lasso di tempo così relativamente breve, potesse mutare lo scenario globale, e il nostro in particolare, in maniera così significativa.
Dieci anni e ricordo ancora l’intervista che realizzai a Beppe Giulietti dopo essere tornato da scuola, dopo un’improvvisata manifestazione in cui avevamo citato Calamamdrei in piedi su una caldaia fuori uso, dopo aver visto per la prima volta all’opera la mia generazione e il suo disperato bisogno di lotta e di comunità.
Dieci anni e mi torna in mente la prima volta che parlai con Vincenzo Vita, quella lontana sera di novembre, e poi rifletto su tutto ciò che mi ha insegnato, sui nostri pranzi, sulle nostre cene, su un’amicizia che è fra le più care e speciali che abbia e che, ovviamente, custodisco con infinita cura.
Dieci anni, quasi metà della mia vita, e una gran voglia di andare avanti, di continuare a scrivere, a credere nel prossimo, a raccontare, a denunciare, a battermi, a svolgere questa professione seguendo l’esempio dei tanti grandi direttori che ho avuto l’onore di conoscere e di cui sono diventato, talvolta, amico, a remare sempre e comunque in direzione ostinata e contraria.
Dieci anni e una storia che si rinnova, di giorno in giorno, con passione ed entusiasmo, anche in questa stagione nella quale sembra così difficile appassionarsi e credere in qualcosa.
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