La proposta degli abitanti per evitare lo sgombero coatto, più volte annunciato dal ministro Salvini. All’interno circa 200 persone, tra cui alcuni italiani. “Va data a tutti un’alternativa e la fabbrica bonificata e riconsegnata alla città”
ROMA – Un’evacuazione concordata dell’area, invece dello sgombero, per dare un’alternativa reale a tutte le persone che ci vivono. Subito dopo, requisire l’immobile, di proprietà privata, per restituirlo alla popolazione e al quartiere S.Basilio. E poi, fare una bonifica dell’intera struttura dove ci sono montagne di rifiuti e sostanza tossiche. E infine, riqualificare la fabbrica per aprirla al pubblico e renderla vivibile. Sono questi i quattro punti per un’uscita ragionata dal “grande Ghetto” della Capitale, l’ex fabbrica della Penicillina che sorge sulla via Tiburtina a Roma. Le proposte sono state illustrate dagli abitanti della struttura abbandonata insieme alle associazioni Asia-Usb e le altre che li assistono e che da tempo chiedono un’interlocuzione con le istituzioni per evitare lo sgombero, già annunciato più volte dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. L’immobile infatti è in cima alla lista dei 27 luoghi da sgomberare a Roma. E l’operazione dovrebbe aver luogo entro fine mese. Gli abitanti chiedono, invece, un incontro interistituzionale con la Prefettura, il Comune e la Regione per trovare una soluzione condivisa.
Le storie. Nell’insediamento informale vivono attualmente 200 persone di diverse nazionalità (nigeriani, gambiani, marocchini, maghrebini), alcuni sono italiani in difficoltà e economica. Molti arrivano da altri insediamenti del quartiere, già sgomberati. Come Maria, una signora rumena con una invalidità fisica, che prima viveva nell’accampamento davanti la metro Ponte Mammolo. “Sono qui qui da 4 anni, ho perso un tetto con lo sgombero di quell’insediamento – spiega – e ho trovato un posto in questa fabbrica. Non mi aiuta nessuno, nonostante io abbia un’invalidità riconosciuta”. Anche Isa, in Italia da 26 anni, racconta di essere arrivata qui dopo aver perso la casa che aveva provato a comprare con un mutuo. “Ho pagato le rate, le utenze, tutto per 12 anni, poi ho perso il lavoro. Ho provato ad affittare alcune stanze, ma non mi hanno pagato. E alla fine ho perso anche la casa. E sono stata sfrattata”. “Bisogna capire perché le persone vivono qui – aggiunge Bouba- chi sta qui è un disperato, e non è di certo felice di abitare in un ghetto. Non siamo animali, non amiamo vivere tra i rifiuti. Nessuno dovrebbe vivere in un posto del genere”. “Molte persone si vergognano di dire che vivono qui – aggiunge John -. Tra poco verremo sgomberati e la politica userà questa azione a suo favore. Abbiamo paura di rimanere soli, ma abbiamo trovato una rete di… Continua su redattoresociale