L’uno, Pupi Avati, ha da poco compiuto ottant’anni; l’altro, Carlo Lizzani, se ne è andato cinque anni fa e Dio solo sa quanto ci manchi.
Avati e Lizzani, due icone del cinema, due simboli del miglior impegno civile, due cantori del nostro tempo e delle sue contraddizioni, da sempre intenti a difendere il valore della memoria dall’oblio barbaro che di volta in volta, come un fiume carsico, riaffiora.
Se Carlo Lizzani è stato la coscienza critica del dopoguerra, dei decenni dei padri e delle grandi passioni democratiche, Pupi Avati è riuscito nell’impresa di svolgere il medesimo ruolo in una fase storica amara, in cui la politica non è più sentita e considerata centrale come un tempo, in cui le persone sono cambiate in peggio, la solidarietà è venuta meno, il cinismo dilaga e lo stesso cinema ha accusato non poco il corso devastante degli eventi.
Quando penso a Lizzani, mi vengono in mente non solo i suoi capolavori dedicati alla Resistenza e agli ultimi giorni di Mussolini a Salò ma anche alla mattina di dicembre, era un sabato, in cui lo conobbi nel corso di un’iniziativa del Forum cultura del PD, in un magnifico confronto fra una politica che aveva ancora il coraggio di difendere il proprio ruolo sociale e un cineasta che aveva lo straordinario piacere di arricchire il dibattito con il proprio genio e le proprie analisi dissacranti.
Avati non l’ho mai conosciuto ma ricordo ancora non solo i suoi film, tanti e quasi tutti bellissimi, ma anche il suo sceneggiato televisivo dedicato a una famiglia che attraversa, in quel di Bologna, mezzo secolo di vita italiana. Un amarcord diverso da quello felliniano, meno onirico, più amaro, a tratti intenso, a tratti addirittura straziante, eppure ricco di quell’umanità e di quel pensiero corale che il nostro è sempre riuscito a conferire alle sue opere.
Il cinema come missione di vita, come contributo alla società, come entusiasmo per ogni singolo giorno, come storia comune narrata con gli occhi di chi spesso non è protagonista; il cinema come arte e come gusto per l’esistenza, come speranza e come tassello imprescindibile per costruire un Paese migliore: Avati e Lizzani sono e sono stati questo. E accomunarli e rendere loro omaggio non è solo un dovere ma anche una grande soddisfazione, il piacere di una gratitudine sincera e che guarda al domani.
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