A 186 giorni giorni dal suo arresto, una condannata a due anni con sospensione temporanea della pena dietro cauzione di 20.000 sterline egiziane, pagata senza sortire alcun effetto, l’attivista egiziana per i diritti umani Amal Fathy resta in carcere e vede le sue condizioni peggiorare.
Tutto questo solo per aver postato su Facebook un video in cui denunciava le molestie sessuali in Egitto e criticava il governo per la mancata protezione delle donne.
Ma la ‘colpa’ che più pesa sulla povera Amal, madre di un bambino di tre anni, è l’essere moglie di Mohamed Lotfy, ex ricercatore di Amnesty International e attuale direttore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (ECRF), organizzazione per i diritti umani con sede al Cairo e che ha fornito consulenze alla famiglia di Giulio Regeni all’indomani del ritrovamento del corpo del ricercatore orribilmente segnato dalle torture.
Amnesty International ha rilanciato in queste ore un appello che Articolo 21 sostiene invitando i propri aderenti a firmarlo. L’organizzazione per i diritti umani considera Amal Fathy una prigioniera di coscienza è ha lanciato una petizione pr chiedere al presidente Abdel Fattah al-Sisi di scarcerarla immediatamente.
La giovane donna è accusata, in un altro processo a suo carico, di “appartenenza a un gruppo terroristico”, “diffusione di idee che incitano ad atti di terrorismo” e “pubblicazione di notizie false”. La prossima udienza, con possibile sentenza, è prevista a metà gennaio del 2019.
Come ricorda Amnesty nell’appello, Amal è stata arrestata l’11 maggio e portata nella stazione di polizia di Maadi, al Cairo, insieme al marito e al loro figlio di tre anni, entrambi rilasciati tre ore dopo. Lofty ha una doppia cittadinanza, egiziana e svizzera.
Da tempo il direttore di Ecrf denuncia, con gli altri colleghi dell’organizzazione, la china di instabilità e di autoritarismo intrapresa dall’Egitto ormai senza ritorno. Non solo per l’uso della tortura e delle ‘sparizioni forzate’ nei confronti di oppositori e attivisti da parte dei Servizi di sicurezza, di cui abbiamo sperimentato la spietatezza con l’omicidio brutale di Giulio Regeni, ma anche per la sistematica violazione delle leggi vigenti nel Paese e i continui arresti senza alcuna base giuridica, al punto che al momento del fermo dei malcapitati di turno non viene formulata alcuna imputazione.
Gli ultimi arresti pochi giorni fa. Le forze di sicurezza egiziane hanno prelevato dalle proprie abitazioni almeno 19 persone (otto donne e 11 uomini), tutte impegnate nella difesa dei diritti umani.
Il governo di Al Sisi è sempre più ostile e repressivo nei confronti di oppositori e gruppi della società civile egiziana non allineati al punto di aver costretto il Coordinamento egiziano per i diritti e le libertà, una nota ong che fornisce aiuto legale e documenta le violazioni dei diritti umani, a sospendere le attività-
Attraverso una nota Amnesty International ha fatto sapere che tra le persone arrestate c’è la celebre avvocata per i diritti umani ed ex componente del Consiglio nazionale per i diritti umani Hoda Abdelmoniem.
“Questa agghiacciante ondata di arresti contro la comunità egiziana dei diritti umani segna un ulteriore passo indietro. Le autorità egiziane hanno mostrato ancora una volta la loro spietata determinazione a stroncare ogni forma di attivismo e a smantellare il movimento per i diritti umani nel Paese. Chiunque osi parlare di violazioni dei diritti umani oggi in Egitto è in pericolo”, ha dichiarato Najia Bounaim, direttrice delle campagne di Amnesty International sull’Africa del Nord.
In carcere anche Mohamed Abu Horira, avvocato ed ex portavoce del Coordinamento, mentre il suo cofondatore Ezzat Ghoniem e l’avvocato Azzouz Mahgoub risultano scomparsi dal 14 settembre. Ghoniem e Mahgoub, arrestati nel marzo 2018, avrebbero dovuto essere rilasciati il 4 settembre ma le forze di sicurezza hanno ignorato l’ordinanza del tribunale e li hanno fatti sparire dal carcere. Di loro non si hanno più notizie.
Il Coordinamento egiziano per i diritti e le libertà e Amnesty hanno chiesto l’intervento del Consiglio Onu dei diritti umani.