Negli ultimi 12 anni nel mondo sono stati uccisi circa 1000 giornalisti, l’anno scorso il numero dei giornalisti uccisi in aree non di conflitto ha raggiunto quota 55% sul totale, superando quindi il numero dei reporter uccisi in zone non di conflitto. Questi crimini restano quasi sempre senza un colpevole, è l’ “impunità” alla cui sconfitta l’Unesco ha dedicato la giornata del 2 novembre (vedi la pagina “End Impunity Day”).
A Kabul abbiamo “celebrato” la ricorrenza con un giorno d’anticipo perché domani è venerdì, giornata di preghiera e di festa, l’equivalente della nostra domenica. Non è stata un celebrazione rituale ma il tentativo di mettere intorno allo stesso tavolo al Ministero per l’Informazione, i vari soggetti che si muovono in una realtà tanto complessa.
Purtroppo l’Afghanistan è il luogo probabilmente più pericoloso al mondo dove lavorare come giornalistf, nel 2018 in una sola giornata sono stati uccisi 11 colleghi in diverse aree del Paese, 9 di questi in un singolo attentato “mirato” a Kabul.
Dando seguito all’orrenda linea partorita dall’abisso del sedicente “califfato”, anche in Afghanistan lo Stato Islamico (qui definito “del Korasan”) ha classificato i giornalisti non per quello che sono – civili – ma come obiettivi militari, possono quindi essere colpiti e trattati come forze combattenti nemiche.
Protagonista della giornata qui a Kabul, il “Comitato per la protezione dei giornalisti afghani” (AJSC): un’organizzazione che si occupa di formazione (non solo per i giornalisti ma anche per le forze dell’ordine che si trovano a rapportarsi con i reporter), di sensibilizzazione delle autorità locali, di tutela legale e anche di misure d’emergenza (i giornalisti sotto minaccia nelle province vengono evacuati in località sicure in attesa che il pericolo decanti).
Questi sono i rischi che centinaia di giovani afghani affrontano ogni giorno per raccontare, per costruire un Paese migliore, per far sapere al mondo cosa accade in Afghanistan. Purtroppo i media occidentali li hanno abbandonati, da un lato chiudendo o riducendo al minimo gli uffici di corrispondenza, dall’altro ricacciando nell’oblio questo Paese, il suo destino, la sua tragedia quotidiana e soprattutto gli errori commessi negli ultimi 17 anni di guerra.