Guardo il mio tesserino ormai logoro: sono ormai una trentina d’anni che esercito, con tanto di “bollino” regolamentare, il mestiere di “infimo sciacallo”, “pennivendolo” e “puttana”. Esercitavo anche da prima, un po’ abusivo, un po’ precario; e l’“esercizio” ha comportato qualche denuncia, querele, minacce, lettere anonime dove qualcuno ti dice che sa tutto di te; anche un soggiorno in galera. Va bene così, non ci ho mai ricamato sopra più di tanto. La settimana di galera, oltretutto è stata formativa, una “scuola”. La consiglierei come raccomandava Leonardo Sciascia ai magistrati prima di cominciare il loro “esercizio”; e anche ai politici di qualsivoglia colore, un qualcosa da avere nel curriculum.
Non sono particolarmente indignato; dev’essere per il fatto che anche l’insulto, come l’elogio, vale a seconda di chi lo fa. Che siano un Luigi Di Maio (ministro, parlamentare) e un Alessandro Di Battista (ex parlamentare e ancora in politica), a dipingere la categoria cui appartengo come “infimi sciacalli”, “pennivendoli”, “puttane”, è una sorta di medaglia da esibire perfino con orgoglio. Come il “Cyrano” di Francesco Guccini, si può cantare “spiacere è il mio piacere…”. I loro insulti non lasciano segno, conseguenza; vanno accolti con la più gelida indifferenza.
Avvilisce un poco che in questo modo infanghino il ruolo che ricoprono. Verso le istituzioni della democrazia rappresentativa – da borghese radicale quale mi onoro d’essere – nutro reverenziale rispetto. Da un ministro, da un parlamentare vorrei comportamenti esemplari, nella forma e nella sostanza; so bene che è una mia illusione, ma la voglio poter ugualmente coltivare. Se un filo di inquietudine nutro è per il fatto che questo sgangherato modo di comportarsi, di agire e parlare, riscuote un discreto consenso, viene applaudito. La parola “decoro” ha ormai perso molto del suo originario significato, ma non è una buona ragione per rassegnarsi a questo miserabile andazzo.
Leggo un lungo post di Di Battista. Dal fatto che molti colleghi si siano risentiti, ricava conferma: “Come volevasi dimostrare è partita la difesa corporativista, puerile, patetica, ipocrita, conformista e oltretutto controproducente di una parte del sistema mediatico. Quando per orgoglio e malafede non sanno chiedere scusa per le menzogne scritte sulla Raggi, per la difesa a spada tratta di un sistema morente, per aver avallato il neoliberismo e tutte le sue nefandezze, partono con la solita litania: “giù le mani dall’informazione”, oppure “nessuno tocchi la libertà di stampa”. Ben vengano le manifestazioni per la libertà di stampa, solo che andrebbero fatte in Svizzera sotto casa di de Benedetti, ad Arcore sotto casa di Berlusconi o davanti alle incompiute Vele di Calatrava per le quali il gruppo Caltagirone si è beccato un bel po’ di soldi. Ma in certi luoghi questi “sepolcri imbiancati” evitano di andare. Al contrario bastonano chi ci va e chi ne parla…”.
Di Battista fa sapere che non si lascia intimidire dalla reazione di tanti miei colleghi, che definisce “scomposta”. Che sia il Movimento 5 Stelle a impartire lezioni di “compostezza” è qualcosa che strappa un sorriso. E vale anche per lui il dantesco: «Fama di loro il mondo esser non lassa; / misericordia e giustizia li sdegna: / non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
Confesso che sono i “particolari” a colpirmi, a intrigarmi. Nel caso specifico, l’aver compilato la “nota” lista dei giornalisti “buoni”, che evidentemente non sono “infimi sciacalli”, “pennivendoli”, “puttane”. Di Battista ha stilato un suo elenchetto che comprende Marco Travaglio, Massimo Fini, Pierangelo Buttafuoco, Fulvio Grimaldi, Alberto Negri, Franco Bechis, Luisella Costamagna, Milena Gabanelli.
Sono, assicura Di Battista, “liberi”. Non c’è da dubitare che lo siano. Ma qui il “particolare”: per quanto mi è dato sapere (se l’hanno fatto chiedo scusa) non uno che abbia rifiutato questa “patente”: non perché non la meritino, ma per il contesto in cui questa “patente” è stata data. Ognuno dice (o tace), come meglio crede e vuole. Ma fossi stato inserito in quella lista di “liberi”, in quel modo, da quel signore, non ci avrei pensato due volte a chiedere di essere inserito nell’altro elenco, quello degli “infimi sciacalli”, dei “pennivendoli”, delle “puttane”… L’elogio e il plauso di Di Battista li troverei imbarazzanti, qualcosa di simile a un bacio della morte.