“Dobbiamo cominciare a riflettere seriamente su come raccogliamo, verifichiamo e diffondiamo notizie in rete. Non ci sono strumenti sufficienti a proteggerci, l’unico modo è rallentare, coordinarsi, prendersi il tempo di verificare. So che ci perderete qualcosa ma in un certo senso vi ritroverete a condurre il gioco dell’informazione”. Parole pronunciate da Joan Donovan, della Data&Society, ad Austin in Texas nel corso della conferenza annuale della Online News Association.
“Rallentare” dunque è la parola d’ordine suggerita per fermare la diffusione della disinformazione che si basa sulla involontaria funzione di propagazione delle fake news del giornalismo, on line e non solo. A fronte del sempre minor accesso dei reporter alle fonti di informazione, bisogna dunque fermarsi e pensare per bloccare la febbre della rincorsa ad improbabili notizie ed a narrazioni imposte nei tempi e nei ritmi dai vari spin doctor. Succede negli stati Uniti, accade in Europa ed in Italia. La necessità di fare inchieste, reportage, articoli frutto di documentazione e ricerca sul campo è oggi sempre più urgente. La concorrenza tra siti, televisioni, giornali non rende giustizia alla verità ed i compensi irrisori alla gran parte dei colleghi precari che guadagnano un euro a pezzo non favoriscono il cammino. In particolare in Italia l’informazione internazionale è quella più sacrificata: costi elevati per mandare un inviato o tenere aperta una sede di corrispondenza, ci si limita a pubblicare le notizie di agenzia o se si possiede un servizio fotografico adeguato si può montare un servizio che può sembrare ai meno attenti come frutto di un reportage sul posto.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Scarsa conoscenza dei fatti, ignoranza delle condizioni di vita reale delle popolazioni. Eppure la prima forma di solidarietà – ricorda il collega missionario Giulio Albanese – è l’informazione.