Era necessario un altro libro sulla mafia? Non avevamo già letto tutto? In realtà “Un morto ogni tanto” di Paolo Borrometi non è un libro sulla mafia ma la foto nitida, spietata, eppure appassionata di una Sicilia che, al massimo, è stata descritta come il territorio della “mafia minore”, sì la Sicilia Orientale. Un filo conduttore consente di comprendere ciò che accade oggi, con le donne sfruttate nei campi di pomodoro, mal pagate, abusate sessualmente, nuove schiave, guardando in faccia ciò che è accaduto ieri. Ci sono i luoghi comuni della Sicilia: “cose di fimmine”, per esempio. E ci sono saette che aprono un varco di verità dentro storie mai capite e mai sopite. C’è Giovanni Spampinato, un morto che la morte “se l’è cercata” come ancora oggi alcuni dicono. E come molti dicono di Paolo Borrometi: se le è cercate le botte quel giorno nella sua casa fuori città, se le è cercate le minacce dei capi bastone locali, se l’è cercata la sua vita sotto scorta.
Questo è un libro scritto da giornalista d’inchiesta che non si ferma e chiama le cose, le persone con il loro nome, pur intrecciando la biografia di un ragazzo normale, di uno studente come tanti, con quella “fame” di verità e giustizia per la sua terra, una ricerca quasi spasmodica, malata di una malattia che si chiama giornalismo. In definitiva Paolo Borrometi è un giornalista rompiscatole, essendo già stato un ragazzino curioso, e vive in una terra in cui, come dice lui stesso, “tutto è possibile”. Il suo ricordo di Giovanni Spampinato, il collega che aveva cominciato inchieste troppo scomode, è un passaggio vivido di questo viaggio nell’isola difficile, quella che non vuole si parli di alcune questioni troppo delicate e cerca di accantonarle. Proprio per questo il libro di Paolo è indispensabile a comprendere certi traffici del Ragusano, certa economia dei centri commerciali di cui non si sente il bisogno, certe modalità mafiose e una cultura mafiosa che, purtroppo, lambisce talvolta anche la scuola. Ed eccola l’altra grande passione dell’autore: il rapporto con gli studenti, tenuto sempre vivo, raccontato in questo libro come in un diario. Paolo parla di un territoro “babbo”, un bel posto dove fare affari nella discrezione generale. Aver indagato e scritto di quella terra ha avuto un prezzo molto alto, la perdita della libertà e l’ingresso in un’altra vita, sotto protezione. “Mi sono chiesto cosa avessi fatto di particolare”, ci dice l’autore che è consapevole che da alcuni questa condizione sia considerata una sorta di privilegio. Funziona ancora così in Italia.
Paolo è adesso Presidente di Articolo 21 e lo ricorda nel suo libro con le parole di chi sente addosso l’affetto e il magico balsamo della solidarietà che l’associazione sa emanare. “Un morto ogni tanto” è una grande inchiesta che lascia atterriti coloro che molte storie contenute nel libro non le conoscevano o non le avevano lette tutte insieme. Ma è anche una straordinaria testimonianza di cosa può accadere a un giovane che voleva “solo” fare il giornalista normale in una terra (o un Paese) anomali. E così possono accadere molte straordinarie avventure: alcune sono incubi da cui si esce rafforzati, altre sono favole che ripagano la sofferenza e lo stupore di essere solo normali.