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Tap, le balle del tubo

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Nessuna penalità in caso di recesso, nessun costo calcolato dallo Stato italiano, nessun risparmio sulla bolletta. Ecco le numerose le anomalie e le dichiarazioni false che abbiamo riscontrato nell’iter autorizzativo del trans adriatic pipeline. Operazione: debufalare il Tap

L’inchiesta è uscita in quattro puntate dal 19 luglio al 16 ottobre su www.iltaccoditalia.info

Non è prevista alcuna penalità a carico dello Stato italiano nel caso in cui il Governo dovesse bloccare i lavori del gasdotto Tap.
Non è mai stato calcolato alcun costo di “fuoriuscita” dal progetto.
Non è vero che “abbiamo le mani legate” come dichiarato dalla Ministra per il Sud Barbara Lezzi e che il costo che dovremmo far pagare al Paese per fermare l’opera “è troppo alto”. Troppo alto rispetto a quali parametri?

In realtà i dati diffusi a mezzo stampa su un presunto risarcimento danni miliardario da addebitare all’Italia, non hanno alcun fondamento. Perfino lo sconto sulle bollette del gas, che il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha quantificato pari al 10%, è pura fantasia. E’ il Ministero per lo sviluppo economico (Mise) a smentire nero su bianco una serie di balle uscite nelle ultime 24 ore sul Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto che, partito dall’Azerbaijan, attraversando Turchia, Grecia, Albania, sta per arrivare in Italia attraverso il mar Adriatico.

Dovrebbe sbarcare nel Salento e bucare la delicata e fragile “falesia”, il costone roccioso e friabile a strapiombo sulle spiagge di San Foca, uno dei litorali più belli d’Italia. Una serie di tutele ambientali, previste dalla direttiva Ue Natura 2000 sulla flora marina che vegeta al largo di San Foca, non ha impedito l’avanzare del progetto.

LA SMENTITA 

E’ arrivata il 27 settembre scorso per le vie ufficiali. Una serie di associazioni, comitati e semplici cittadini (Comitato “No TAP Salento”, “Terra MIA”, Graziano Giampaolo Petracchi, “Movimento No TAP”, “Associazione Salento Km0”, “Movimento No TAP della Provincia di Brindisi”, “Associazione Bianca Guidetti Serra”) il 2 agosto scorso hanno fatto richiesta di accesso agli atti al Mise (Ministero per lo sviluppo economico), chiedendo anche delucidazioni sui costi della penalità che i cittadini dovrebbero sostenere per un eventuale revoca della disponibilità dell’Italia al passaggio del tubo.

La risposta è a firma del direttore generale del Mise, l’ingegnere Gilberto Dialuce, dunque la massima autorità competente in materia.

L’ingegnere Dialuce scrive che: “La quantificazione dei costi di abbandono divulgata dalla stampa ha come fonte la Società di Stato azera SOCAR. Nello specifico, per quanto di conoscenza di questa Direzione, le cifre citate (70 o 40 miliardi) sono emerse durante gli incontri avvenuti col Ministro degli esteri azero nel corso della visita del Ministro degli affari esteri e la cooperazione internazionale Enzo Moavero Milanesi e del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in Azerbaijan lo scorso 23 luglio”.

In parole povere: balle spaziali. O balle del tubo. Nessun costo dovrà sostenere l’Italia e tale presunta penalità non è stata neanche presa in considerazione dai nostri ministeri. Si è trattato di una sorta di spauracchio sventolato da Socar davanti al naso del nostro presidente Mattarella, ma non ha alcuna forma ufficiale. “Non si tratta pertanto di conteggi effettuati dal Governo italiano o da questo Ministero”, ribadisce il direttore del Mise.

Chiarissimo. Ma l’Italia rischia di pagare delle penali?

Chiedono i comitati e le associazioni al Mise, che risponde: “Si specifica che il TAP è un’opera la cui realizzazione non prevede finanziamenti dello Stato italiano. Una eventuale revoca dell’autorizzazione rilasciata e riconosciuta legittima da tutti i contenziosi amministrativi, col conseguente annullamento del progetto, causerebbe una serie di danni a soggetti privati (la società costruttrice, le società che hanno avuto appalti di lavori, gli esportatori del gas azero, gli acquirenti che hanno già firmato contratti di acquisto venticinquennali del gas con consegne del gas in Italia a partire dal 2020) e pubblici, configurando richieste di rimborso degli investimenti effettuati nonché dei danni economici connessi alle mancate forniture, anche al di fuori del territorio italiano, nei confronti dello Stato italiano, attivando cause o arbitrati internazionali in base alle convenzioni internazionali firmate dall’Italia che proteggono gli investimenti esteri effettuati da privati, motivati anche dalla violazione dell’Accordo Intergovernativo sottoscritto e ratificato dal Parlamento italiano”.

Quindi è probabile che l’azienda di stato dell’Azerbaijan SOCAR pretenderà il pagamento di penali che, tuttavia, l’Italia può legittimamente rifiutarsi di pagare.  Infatti, nel caso di una eventuale revoca dell’impegno da parte dell’Italia, Socar e gli altri soci privati potrebbe chiedere all’Italia danni miliardari se avessero tutte le carte in regola, tutte le autorizzazioni e i pareri tutti regolarmente emessi e tutti favorevoli. Insomma se stesse dalla parte del giusto, Tap potrebbe chiedere i danni e ottenerli. Ma TAP ha davvero le carte in regola?

Tap: così l’ex ministro Galletti ha fatto carte false

Balle sul tubo (seconda parte). All’indomani della débâcle elettorale del 4 marzo, il Ministero dell’Ambiente concede in fretta e furia il “nulla osta” senza la necessaria documentazione. Il tubo (il cosiddetto micro tunnel di approdo) che collegherà il gasdotto Tap che arriva dall’Albania con la spiaggia di San Foca, è esente da ogni Valutazione di impatto ambientale (Via). Il Ministero dell’Ambiente (retto all’epoca, e per ancora pochi giorni, da Gian Luca Gallettidell’UDC) l’ha deciso con proprio decreto il 9 marzo 2018.  E’ una procedura complessa, che nel 2014 ha avuto delle “prescrizioni”, cioè una serie di obblighi, assolti i quali, la società Tap si sarebbe potuta accaparrare l’agognato certificato di “non assoggettabilità a Valutazione di impatto ambientale”. Quindi, ci è sembrato doveroso verificare se le “prescrizioni” siano state soddisfatte, cioè se Tap ha effettivamente assolto ad ogni obbligo imposto con decreto ministeriale. Lo abbiamo fatto grazie agli atti allegati aduna serie di esposti, almeno cinque, depositati presso la Procura della Repubblica di Lecce.

Dai documenti in nostro possesso emerge che:

  • la decisione di “non assoggettabilità” è stata presa senza che il Ministero avesse nel “fascicolo Tap” tutti i documenti necessari per legge per poter prendere tale decisione.
  • il Ministero dell’Ambiente ha dichiarato che la società Tapaveva ottemperato a tutte le prescrizioni richieste, prima ancora di avere i documenti che lo potessero attestare.
  • il Ministero dell’Ambiente ha rilasciato la non assoggettabilità alla Via prima di avere tutti i documenti a posto, prima cioè che tutte le “prescrizioni” fossero soddisfatte: le “prescrizioni”, come detto, sono gli obblighi imposti per legge a Tap.
  • Ben due enti pubblici, Ispra e Arpa Puglia, hanno comunicato che alcune analisi ambientali andavano rifatte e sottoposte alla valutazione di entrambi gli enti. Hanno messo per iscritto e

comunicato al Ministero dell’Ambiente che alcune analisi ambientali, necessarie e indispensabili per ottenere poi (eventualmente) la esclusione dalla Via, non erano state fatte o comunque non erano state inviate a Ispra e Arpa Puglia perché fossero sottoposte alla loro valutazione.

  • La certificazione ambientale Ecolabel/Ecoaudit, indispensabile per avere l’ok dal Ministero, non c’è né mai sarà possibile averla. (Domani vi spiegheremo perché).

LA VIA RILASCIATA NONOSTANTE LA DOCUMENTAZIONE MANCANTE

Il 9 marzo scorso il Ministero dell’Ambiente (decreto direttoriale n.116 a firma del direttore generale Giuseppe Lo Presti) ha decretato “l’esclusione dalla procedura di valutazione di impatto ambientale del progetto microtunnel di approdo”. Peccato che TAPin un documento del 15 marzo, dunque successivo al nulla osta ministeriale, precisa che a i campionamenti relativi alla posidonia oceanica, ai fondali rocciosi sotto costa e alla caratterizzazione della prateria di alghe sono “sono in fase di elaborazione e verranno forniti alle Autorità competenti una volta terminate le necessarie elaborazioni”. Dunque non è vero, come invece ha scritto il Ministero, che tutte le prescrizioni sono state ottemperate alla data del rilascio del nulla osta, perché questi dati non erano in suo possesso.

IL MINISTERO PRIMA RILASCIA LA VIA, POI IL DOCUMENTO CHE ATTESTA L’OK DELLE PRESCRIZIONI

Il decreto con cui il Ministero dell’Ambiente esonera la Tap dalla Valutazione d’impatto ambientale, come detto, è del 9 marzo. Il 16 aprile il direttore generale del Ministero, Giuseppe Lo Presti, firma un documento con cui ratifica l’ottemperanza di Tap a tutte le prescrizioni. Ma ottemperare alle prescrizioni è un obbligo che precede il rilascio del nulla osta. Invece il Ministero prima rilascia il nulla osta, poi dopo un mese e 7 giorni dichiara che le prescrizioni sono a posto. Dunque, se è vero il secondo documento, cioè quello del 16 aprile, è falso il primo, quello in cui il Ministero da l’ok affermando che tutte le prescrizioni sono assolte. Dunque abbiamo dimostrato a questo punto che il nulla osta è stato rilasciato in assenza di tutte le prescrizioni. Purtroppo, poi, è falso anche quanto dichiarato nel secondo documento (quello del 16 aprile)in cui si certifica che tutte le prescrizioni sono assolte. Infatti è proprio Tap ad inviare i risultati dei monitoraggi richiesti per l’ottenimento del nulla osta, ma lo fa il 19 aprile, cioè tre giorni dopo il certificato ministeriale in cui si dice che è tutto a posto (Documento “Risultati del Monitoraggio Ambientale Ante operam, aree interessate dalla fase 1b” IAL00-C5577-000-Y-TAE-0002).

Va bene, ci siamo detti. Piccole sviste. Il 19 aprile 2018, con la consegna dei dati dei monitoraggi si sarà “condonato” tutto, ci siamo detti. Siamo il Paese dei condoni e delle proroghe. Che sarà mai un certificato presentato tre giorni dopo che il Ministero certifica che il certificato è stato rilasciato tre giorni prima? Quisquilie.

Chiaro no? No.

ISPRA E ARPA E LE VALUTAZIONI MANCANTI

Ispra e Arpa Puglia il 30 aprile scorso, cioè dopo che tutto, secondo il Ministero, era a posto, firmano congiuntamente una documento che non lascia spazio a dubbi. Ispra e Arpa nel documento, tengono ancora aperta la partita del rilascio del nulla osta (la non assoggettabilità a Via), chiedendo di utilizzare un approccio “maggiormente cautelativo” nell’analisi di alcuni dati e chiedono di ricalcolare alcuni paramenti relativi alla torbidità dell’acqua. Concludono che dopo che Tap avrà ottemperato alle loro prescrizioni, tutto “dovrà essere comunque preventivamente sottoposto a valutazione di ISPRA e ARPA Puglia”. Precisano anche che “non risultano trasmesse, a tutt’oggi, presso questi Enti le relative informazioni” e che due punti delle prescrizioni “sono al momento non ancora ottemperati”. Questo accadeva il 30 aprile scorso. Cioè un mese e 20 giorni dopo il rilascio del nulla osta del Ministero. Quindi come ha fatto il ministero dell’Ambiente a rilasciare il 9 marzo la non assoggettabilità a VIA e a dichiarare il 16 aprile che tutte le prescrizioni erano soddisfatte se il 30 aprile gli enti competenti Ispra e Arpa Puglia scrivono che la prescrizione “a5” non poteva essere dichiarata ottemperata per mancanza di dati e per difformità di altri dati rispetto i protocolli concordati in sede di Via?

Questa prescrizione è stata disattesa almeno fino al 10 ottobre scorso (sette giorni fa), perché attraverso posta elettronica certificata Arpa, interrogata proprio su questo punto da un cittadino, ha risposto che: “Si comunica che allo stato attuale non è stata sottoposta all’attenzione di questa agenzia nessuna proposta di ricalcolo del valore soglia della torbidità come richiesto nel parere di Ispra e Arpa Puglia trasmesso con prot. Ispra n. 40014 del 20.6.2018”. Cioè ad oggi, 17 ottobre, giorno in cui il Governo annuncia che “questo Tap s’ha da fare”, giorno in cui alcuni giornaloni titolano che dovremo pagare “20 miliardi”, senza sapere apportare una carta straccia a supporto dei loro titoloni, ad oggi 17 ottobre, una serie di obblighi necessari per avere il nulla osta del Ministero non sono stati assolti. Ma, a costo di fare carte false, il nulla osta è arrivato lo stesso.

Microtunnel Tap: manca la certificazione di sostenibilità ambientale

Le balle del tubo (3a puntata). Operazione: de-bufalare l’informazione su Tap. La certificazione EMAS per il microtunnel di approdo alla spiaggia non c’è né mai ci sarà. I valutatori: “difficile” rilasciarla se i cittadini non vogliono il gasdotto. Perché il tubo passi dalle spiagge del Salento, tra le altre certificazioni, è richiesta quella relativa al “Sistema di gestione ambientale (ISO EMAS)”. Tale “Sistema di Gestione Ambientale dovrà fare parte integrante del Capitolato di appalto delle imprese” che costruiscono il gasdotto. E’ scritto nel decreto ministeriale (223/2014) firmato dall’ex ministro Gianluca Galletti (Udc), quando al Governo c’era Matteo Renzi. Questa certificazione ambientale per il microtunnel, non c’è. E’ però indispensabile per legge, come abbiamo visto, per redigere i capitolati di appalto delle imprese che realizzeranno le opere.

Senza questa certificazione, non possono essere messi a bando i lavori per la costruzione del tubo che arriva alle spiagge. Si tratta di un documento complesso, perché nella certificazione bisogna inserire “l’indicazione analitica delle singole attività (periodo di realizzazione e durata, modalità esecutive, localizzazione delle aree di lavorazione, mezzi coinvolti) e degli accorgimenti e dispositivi previsti per il contenimento, spaziale e temporale, della dispersione dei fanghi bentonici e del materiale dragato” (decreto 223/2014).

Bene, nel Paese dei condoni e delle proroghe ci sarà un modo per mettersi in regola ex post, ho pensato. No, non c’è. Né mai ci sarà.

La Sezione EMAS Italia del Comitato per l’Ecolabel e l’Ecoaudit, ente governativo in seno allo stesso Ministero dell’Ambiente (sic!), nella seduta dell’11 giugno scorso, dunque due mesi e due giorni dopo il nulla osta del Ministero dell’Ambiente scrive che: “il Comitato rileva anche una criticità in merito alla scelta del sito oggetto di registrazione”. E aggiunge che uno dei requisiti per ottenere la certificazione è quello di poter garantire il “miglioramento continuo delle prestazioni ambientali”, mentre “per la natura dell’opera, è presumibile ritenere difficile il riscontro nel tempo di tale requisito fondamentale ai fini del mantenimento della certificazione”. Infine, aggiunge il Comitato, la certificazione richiesta dal Ministero, prevede anche una “Dichiarazione Ambientale, documento convalidato da un Verificatore Ambientale accreditato”. Tale “dichiarazione ambientale” prevede anche il coinvolgimento degli “stakeholders”, cioè i portatori d’interessi. In una parola: i cittadini. Per questo, scrive il Comitato: “Considerate le forti tensioni locali e i numerosi contrasti a cui l’opera è soggetta, con alta probabilità questo Comitato sarebbe tenuto a prendere in considerazione eventuali reclami, provenienti dalle cosi dette “parti interessate”, ostativi ai fini del rilascio/mantenimento della Registrazione, come previsto dall’art. 13 del Regolamento EMAS”. Dunque: poiché i cittadini non vogliono il gasdotto e siccome la certificazione “Emas” tiene conto della volontà dei cittadini, quella certificazione non arriverà mai.

La prescrizione “A.5”, relativa tra le altre cose anche alla certificazione “Emas-Ecolabel” per il microtunnel non è stata né mai potrà essere soddisfatta. A meno che, si spinge ad ipotizzare il Comitato, non ci sia “un ripensamento in merito alla formulazione della prescrizione A.5”. Cioè va riscritto il decreto ministeriale che include la prescrizione “A.5”. Ma come si fa? Il Ministero, per mano del suo direttore generale, ha già dichiarato che tutte le prescrizioni sono a posto, anche se questo era palesemente falso. E così ha sbloccato i lavori. Che però non possono partire se manca la certificazione “Emas”. Un impasse generato da abuso di potere, dichiarazioni false, accordi stretti sotto banco. Su tutto questo aleggia lo spettro sventolato da Socar, l’azienda di stato dell’Azerbaijan che detiene il 20% delle quote della società Tap. Socar agita lo spettro del dissesto, minacciando di chiedere all’Italia 70 miliardi di euro di danni.

Il gasdotto Tap passa tra le praterie protette di posidonia: ma il ministro Costa scrive di no

“Manterrò alto il livello di attenzione su questa complessa vicenda”. Così il ministro all’Ambiente Sergio Costa oggi ha rassicurato per iscritto la deputata Rossella Muroni (Liberi e Uguali), rispondendo ad un suo atto ispettivo, con cui chiedeva conto dell’impatto ambientale del gasdotto Tap. Il ministro Costa afferma che “lo studio ha portato allo spostamento del punto di uscita del microtunnel, al fine di minimizzare le interferenze, in un area in cui gli ultimi ciuffi sparsi di cymodocea nodosa sono presenti (“a distanza ben maggiore di 50 metri, sia a sud che a nord dell’exit point”) come indicato nel parere della commissione via”.

Per il ministro Costa, cioè, il tubo non tocca la prateria di posidonia e di  cymodocea nodosa, piante che crescono in fondo al mar Mediterraneo, e che sono protette dalla direttiva europea Habitat (rispettivamente Habitat 1120 e 1110). Purtroppo per il ministro Costa le cose non stanno così. Gli ultimi atti emanati dagli uffici ministeriali dimostrano esattamente il contrario, cioè che il cosiddetto “exit point” del microtunnel è stato posto in pieno campo di cymodocea nodosa e non  “a distanza ben maggiore di 50 metri, sia a sud che a nord” come scrive il ministro.

DOVE PASSA ESATTAMENTE IL MICROTUNNEL?

La risposta è  in un decreto del direttore del Ministero dell’Ambiente a cui è allegato il parere tecnico della Commissione per la valutazione di impatto ambientale (parere ctvia 2659 del 2.3.2018 allegato al decreto direttoriale del Mattmm 9.3.2018) Con tali atti è stato deciso che il microtunnel non è sottoposto a valutazione di impatto ambientale e che può passare in mezzo alle praterie sebbene siano protette: “Diviene ininfluente mantenere un determinato limite tra l’exit point e la prateria stessa” (cancellando di fatto l’obbligo di stare a 50 metri, ndr) …”in particolare è stata rilevata la presenza di un area di circa 200mq di cymodocea nodosa in corrispondenza del punto di uscita del microtunnel” (certifica che l’exit point è in piena prateria, ndr). Queste piante non si possono toccare perché da queste piante, che ossigenano i fondali, dipende la salute del nostro mare, dunque anche la nostra. Per questo motivo più di 10 anni fa l’ipotesi di approdo del gasdotto a Brindisi fu scartata: la prateria di posidonia oceanica era troppo fitta e non consentiva il passaggio del tubo. Questo si disse.

Ora: a San Foca, nel Salento, al largo di uno dei tratti di costa più belli d’Italia, ci sono 300mila metri quadrati di cymodocea nodosa e posidonia oceanica, la cui presenza ed estensione è certificata proprio dalla Commissione ministeriale che si è espressa sulla Valutazione di impatto ambientale. Peccato però che la Commissione ha escluso dalla Via il cosiddetto “exit point” del tubo, affermando che può passare tra le praterie sebbene siano un habitat protetto.

La deputata Muroni sulla sua pagina Facebook ha dichiarato che la risposta del ministro Costa è stata scritta dal sottosegretario del M5S Vincenzo Sant’Angelo. Sappiamo perciò a chi appartiene il naso di Pinocchio. Resta da capire tra ministro e viceministro chi è il gatto e chi la volpe.

4/Continua


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