Ormai il premio Morrione, giunto alla settima edizione, non è solo il luogo in cui si ricorda la figura di Roberto nel migliore dei modi. Ovvero premiando quei giovani giornalisti che costruiscono inchieste innovative fuggendo dal palinsesto main stream e andando alla ricerca di temi relegati nelle periferie nascoste. Luoghi della cronaca, del disagio, dell’abuso, del lucro, del pregiudizio, degli affari poco chiari. E’ un appuntamento annuale per fare il punto sul giornalismo investigativo in particolare ma sullo stato di libertà condizionata con cui la professione si confronta quotidianamente. E non è una lamentatio di giornalisti arrabbiati con chi li vuole condizionare, sia esso il potere economico o quello politico, o la realpolitik che a volte, come nei casi Alpi e Regeni per citarne due, impedisce ai giornalisti ma con essi a tutte le cittadini e i cittadini di scoprire la verità. Sono giornalisti in cerca di cura, di strumenti e di iniziativa in grado di contrastare proprio quei fenomeni condizionanti. Nella tre giorni di Torino si sono accesi i riflettori per chiedere verità e giustizia per Ilaria e Miran, evitando di spegnere la luce oggi, dopo che Luciana e Giorgio se ne sono andati, per evitare che chi vuole nascondere l’abbia vinta per mancanza di rompicoglioni. Invece no, i giornalisti sono un po’ rompipalle e così tutti insieme quella luce la tengono accesa e rilanciano con l’appello a tutti coloro che hanno partecipato e vinto il premio Alpi affinché continuino ad occuparsi del caso, magari partendo da lì dove Miran e Ilaria sono stati fermati.
E i giornalisti sono anche rompiballe nella logica del contrastare da una parte le fake news e dall’altra quel fenomeno gravissimo che interessa la politica, non solo di casa nostra, che ha portato alla disintermediazione dell’informazione. Potremmo definire la questione una sorta di “cassetta da Arcore 2.0”. Una volta era il VHS preconfezionato, ora sono i twit, i post e le dirette senza domande che i politici fanno da casa, dalla spiaggia, dalla terrazza sui tetti di Roma o semplicemente davanti al proprio telefonino con un Selfie che diramano sulle chat dei giornalisti come fossero dei terminali famelici di verità infuse.
Oppure ci si confronta in seminari sulla cattiveria degli algoritmi, sulla Bestia di Salvini, il sistema che permette di utilizzare il mondo social a proprio uso e consumo, per la propria propaganda politica e per la delegittimazione degli avversari. Di fronte ad un popolo che è malato di analfabetismo di ritorno (2 milioni in Italia) e di ignoranza informativa.
O ancora sui giornalisti minacciati, troppe volte quelli meno difesi da editori perché sono i colleghi freelance di periferia, quelli che raccontano cose importanti, che lottano contro i poteri mafiosi e dei colletti bianchi, o contro altri poteri economici capaci di farti del male con una querela civile che non mira al tuo portafoglio ma essenzialmente a chiuderti la bocca.
Questo è il Morrione. Che poi ha la capacità di affidare questi temi a chi è nuova generazione dell’informazione che non ci sta proprio a veder sparire un lavoro che non idealizza più come noi cinquantenni facciamo pensando ai vecchi e grandi inviati, in una forma quasi emulativa e di soddisfazione personale, ma che pensa effettivamente al ruolo che l’informazione può avere in un mondo che cambia e che vorrebbe fare a meno non solo dei giornalisti ma di tutti quei corpi cosiddetti intermedi che sono il vero check and balance della democrazia o di quel che ne resta.
E l’attenzione dei giovani che partecipano è così alta e il loro impegno così bello che quest’anno la Giuria del Premio non se l’è sentita di premiare solo una delle due video inchieste finaliste ma entrambe. Sia Doppia Ipocrisia che pone l’accento su come è poi semplice violare le leggi che vietano la vendita di armi a Paesi in conflitto e che coinvolgono anche il nostro Paese. O Caro Cordone che si occupa delle banche private che custodiscono le staminali dei cordoni ombelicali e l’assenza o limitatezza, nel campo, del ruolo pubblico. Tra i web doc ha vinto “Welcome to your gig” che racconta il mondo dei riders, coloro che in bicicletta consegnano merci per pochi euro al mese, senza alcun diritto: E anche se non ha vinto meraviglioso è stato il lavoro dei giovani collegni che si sono impegnati a raccontare il mondo delle cave di marmo di Carrara. Un web doc che riesce a scoprire un mondo nascosto sotto la lucentezza del marmo più noto al mondo.
La settima edizione è archiviata, ma il lavoro prosegue subito col nuovo bando e con l’analisi di quanto è emerso nei tre giorni di Torino, alla ricerca di risposte. Sapendo che, come diceva Roberto, ognuno è chiamato a fare quel che deve e poi succeda quel che può.