È possibile contestare “l’avidità” del capitalismo finanziario e vincere da sinistra. Il miracolo è possibile. Jeremy Corbyn, entusiasmando i lavoratori e il ceto medio impoverito, ha lanciato la sfida in Gran Bretagna, una delle patrie della socialdemocrazia e dello Stato sociale. Ha capovolto l’impostazione di Tony Blair: dal centrismo liberaldemocratico è passato al radicalismo socialista. Nel 2015 ha preso la guida del Partito laburista traumatizzato dalla sconfitta e l’ha portato al 40% dei voti nelle elezioni politiche del 2017, un successo insperato. Il suo radicalismo socialdemocratico piace e sfonda.
In quasi tutta Europa i socialisti delle varie scuole (socialdemocratici, laburisti, liberaldemocratici, libertari, massimalisti, radicali) arrancano o sono stati addirittura cancellati. I socialdemocratici tedeschi, la Spd, hanno dimezzato i voti nelle elezioni regionali in Baviera di domenica 14 ottobre. La disoccupazione, l’impoverimento, il precariato, lo smantellamento dello stato sociale, l’immigrazione hanno avuti effetti devastanti. La globalizzazione economica e la Grande crisi internazionale del 2008 hanno avuto gravissime conseguenze sulle condizioni di vita dei ceti popolari e sullo stato di salute della stessa democrazia. I socialisti e i partiti progressisti non sono riusciti a dare una risposta ai problemi, sono andati in crisi e si sono aperte le porte all’affermazione dei partiti populisti sovranisti anti europei, anti euro e anti immigrati.
Corbyn offre una soluzione al terremoto proponendo un nuovo modello di società per ripristinare i diritti, per tutelare gli ultimi, gli emarginati, gli sfruttati, il ceto medio sottraendoli alle sirene del sovranismo nazionalista e populista. La sua ricetta, esposta a fine settembre nella conferenza annuale laburista di Liverpool, per molti aspetti è antica: è di pura matrice socialdemocratica. Uguaglianza, lavoro, sviluppo costituiscono i cardini per assicurare benessere, libertà e dignità sociale a tutti. Lo strumento sono gli investimenti pubblici da realizzare soprattutto nell’economia verde, garantendo produzione, salute umana e integrità dell’ambiente. Il ruolo dello Stato è strategico nei servizi pubblici essenziali come l’energia elettrica, i trasporti, la sanità, le poste. L’inclusione sociale dei tanti immigrati è un passaggio fondamentale.
Corbyn, vestito scuro, camicia bianca, cravatta rossa, ha scaldato i cuori. Ha parlato tra un uragano di applausi e di cori entusiasti ai delegati di Liverpool. Una volta, nella Prima Repubblica, accadeva anche ai congressi socialisti in Italia. Ha avvertito: «Se non saremo noi laburisti a offrire soluzioni radicali» saranno i populisti con grandi rischi per i lavoratori, le masse popolari e le stesse libertà democratiche. Il leader laburista non è certo un uomo nuovo: 69 anni, capelli bianchi, militante fin da ragazzo nel Partito laburista, deputato dal 1983, all’opposizione interna, da sempre si definisce un socialista democratico. È un pacifista convinto, sostenitore del disarmo nucleare unilaterale e dell’autodeterminazione dei popoli. Sostiene la causa dell’indipendenza palestinese e respinge al mittente le accuse di anti semitismo piovutegli addosso. Per molti aspetti considera ancora valido il pensiero di Carlo Marx.
Uniti per governare, non divisi per perdere. Il motto vale per i laburisti, la Gran Bretagna e l’Europa. La prossima battaglia è per l’Unione europea. Attacca la premier Theresa May, leader dei conservatori. Corbyn, contrario alla Brexit passata con un referendum due anni fa, adesso aspetta con preoccupazione la fine dei difficili negoziati tra Londra e Bruxelles per una separazione consensuale (l’uscita del Regno Unito è fissata a fine marzo 2019).
Il leader laburista teme o la rottura o un cattivo accordo con Bruxelles con conseguenze disastrose sull’occupazione, il sistema produttivo (le banche e le multinazionali sono in fuga verso Germania, Francia e Olanda), la libertà di circolazione di persone con la Ue e con la Repubblica d’Irlanda. È pronto, in caso di trattative fallimentari, a bocciare in Parlamento un’intesa insoddisfacente firmata da Theresa May e a chiedere le elezioni politiche anticipate. Non è esclusa poi la richiesta di un referendum bis sulla partecipazione della Gran Bretagna all’Unione europea, dopo quello del 2016 che ha deciso l’uscita.
Corbyn vuole tenere comunque aperti tutti i canali di collegamento con l’Europa. Ha una strategia attenta alle mosse della May, un programma anti liberista, la fiducia di una base e di un elettorato rincuorati. Ha saputo ricostruire un labour nel cuore degli operai e della borghesia progressista. È un possibile modello. Il miracolo Corbyn ridà fiducia ai socialisti delusi e depressi di tutta Europa.