Nel corso del convegno “Informazione bene comune” organizzato a Roma da Civiltá Cattolica e introdotto da Francesco Occhetta, è venuta fuori questa necessitá, per uscire dalle secche: un avvicinamento tra chi scrive e chi legge, un patto, la ricerca di una “veritá” che é alla base di qualsiasi percorso critico, da parte di tutti, credenti e di laici. “Il giornalismo è chiamato a raccontare storie umane senza nascondere quelle disumane”, scrive Occhetta su Desk n. 4, 2017, a proposito di come raccontrare le migrazioi. Appunto: come fare?
Oggi si legge piú di prima, perché tutti scrivono e quindi c’é piú produzione, c’é piu mercato, c’é piú vicinanza tra chi scrive e chi legge? Oppure perché c’é piú consapevolezza in chi legge? Perché si sente piú rappresentato?
Come si pone il giornalista di fronte a questo scenario che muta e mette in discussione ruolo e funzione della capacitá critica che comunemente chiamiamo “libertá di stampa”? E che in pochi esercitano, trincerandosi dietro il luogo comune che tutto é libertá di stampa?
Su questo aspetto Roberto Natale, giornalista Rai, nel corso del convegno romano organizzato, tra gli altri, da Maurizio Di Schino, segretario dell’Ucsi, ha dato alcuni punti fermi: “un’informazione rispettosa dei fatti fornisce i numeri. Alcune volte la veritá dei fatti può non piacere. Parlando di giornalismo, non puo esserci par condicio tra razzismo e antirazzismo, tra fascismo e antifascismo. Quando si esce dai principi costituzionali la par condicio non ha alcun valore. Il Contratto di servizio Rai individua tra i suoi doveri quello della “coesione sociale”, di costruire comunitá. Al di lá degli indici di ascolto”.
Eppure oggi trasmettono tutti e ricevono tutti, apparentemente il rapporto non è tra uno verso tutti, ma di tutti verso tutti. Si chiama rete. Ci sono dei nodi, ci sono gli influencer, ci sono i contenuti che vanno forte, fortissimo e si chiamano virali. Se vuoi puoi farlo anche tu e la tua vita cambierà. Basta correre dietro alle tre esse delle quali parlava Bocca alla fine degli anni ’80. E’ cambiato tutto, ma quelle, grosso modo, no: Sesso, Sangue, Soldi. La chiamano rete, il sistema è in perfetto equilibrio. Ma è davvero così? Questo è pluralismo?
Vania De Luca, presidente Ucsi: “Pluralismo non significa che ognuno la racconta come vuole, difficilissimi sono i percorsi della verifica. L’incondizionata libertá di stampa é un pilastro di democrazia.Il giornalismo non può essere dei cinici. Lo diceva Kapuściński. Il giornalismo é degli inquieti, ed oggi é difficile esserlo.Il livello di civiltá al quale dobbiamo puntate é quello di fermezza e responsabilitá, coscienti di cio che ci aiuta a vivere meglio. Difendere la dignitá giornalistica significa sapere che dobbiamo pagare un costo”.
Si legge più di prima eppure la cultura sembra diminuire, nel senso della coscienza di popolo, di etica, di responsabilità. E le distanze (e le solitudini) in questo infinito blob aumentano, anzichè diminuire. All’interno delle redazioni e fuori. Queste domande sono quotidiane e ogni giornalista le fa a se stesso. Non ci sono più editori ai quali farle, perché loro, gli editori, questa parola la considerano brutta e antica. Fare l’editore è sempre più il corollario di qualsiasi altra attività imprenditoriale, coacervo di interessi non sempre limpidi che portano alle oligarchie economiche e alle sovrastrutture del potere politico. Come al solito, si dirà. Ma oggi, molto molto di più. Carlo Verna, presidente Odg: “Come rafforzare la funzione sociale del giornalismo? Nell’era di internet e dei social ognuno ha la possibilitá di parlare a tutti. Ma non tutto quello che troviamo in rete é informazione, é giornalisticamente corretta. Quale deve essere il ruolo del giornalista? Utilizzare e rispettare le regole, rispetto sostanziale della veritá dei fatti. Un giornalista deve essere di esempio a tutti, non cedere alle esagerazioni senza freni di tutto quello che si trova in rete”.
Anche perché il “potere” muta continuamente. Scriveva Asor Rosa: “Il ruolo svolto dal populismo in Italia – scrive Asor Rosa – è prodotto e causa insieme dell’assenza di una forte, moderna, avanzata cultura borghese”. Era l’analisi di oltre cinquant’anni fa. Il populismo, allora come oggi, è il piffero di Hamelin, da suonare allegramente, senza farsi troppe domande (di chi è la rete?) perché è lui che ci libera dagli incubi del presente e dalle preoccupazioni del futuro. Perchè informarsi e rimanere svegli? Perché pagare un costo? Perché rischiare? L’intrattenimento, bellezza, costa molto meno e remunera di più. In fondo, anche quella è comunicazione. E’ veloce e rende alla grande. “La profonditá prevalga sulla velocità – ha detto Beppe Giulietti, presidente FNSI – Occorre cercare alleanze: il tema dell’informazione é molto delicato non solo per i giornalisti ma soprattutto da tutte le persone. Quando oggi si dice abrogare l’Ordine dei giornalisti senza aver abrogato una pessima legge Rai e senza una legge su conflitto di interessi, significa che si vuole abrogare la libertá di informazione. Il presidente Odg chiede piú poteri per intervenire radicalmente sui giornalisti che non fanno il proprio dovere.
Le aggressioni e le querele oggi sono contro i giornalisti coraggiosi. Questa campagna di aggressione riguarda anche la Chiesa perché parla di una umanitá aperta. C’é chi vorrebbe una Chiesa di stato, asservita al potere politico”.
“L’articolo 3 della Costituzione riguarda il principio di uguaglianza e chiede di rimuovere gli ostacoli che la impediscono. Si integra in modo assoluto con l’art. 21 sulla libertá di stampa. Calamandrei, il grande giurista, diceva: la libertà di informazione é come l’aria, ti accorgi della sua importanza quando ti manca, quando si rischia di soffocare.Nei prossimi giorni rilanceremo la Carta di Assisi, un patto di alleanza tra tutti, giornalisti e non giornalisti, credenti e non credenti”. Informazione bene comune, il testimone passa ad Assisi dove il 6 ottobre, alla vigilia della Marcia per la Pace, giornalisti e non giornalisti sono chiamati a dare un contributo di responsabilità e profondità, perché le parole non siano pietre.