Si è consumato nel giro di due ore l’incontro che mercoledì scorso si è svolto al senato tra i senatori Pillon, Valente e Malan alla sala Nassiriya di palazzo Madama: un dibattito organizzato dalla 27esimaora del Corriere della sera, dove non sono mancate scintille con una platea rumorosa che ha costretto la moderatrice, Alessandra Arachi, a riprendere più volte i partecipanti minacciando di espellere alcuni dei presenti per il comportamento indisciplinato.
Un pubblico composto da avvocate e associazioni che hanno commentato con rumorosi brusii alcune affermazioni di Pillon mentre hanno ripetutamente applaudito gli interventi della senatrice Valente, interrotta invece più volte dal solo padre separato in sala che, contrariato dalla troppa attenzione verso le madri, si è vantato ad alta voce di aver allattato il figlio in incubatrice.Spiacevoli ma prevedibili effetti collaterali quando l’argomento è l’affido condiviso, e in particolare il disegno di legge che il leghista Pillon ha presentato in senato qualche mese fa e che a oggi ha ricevuto un numero sostanzioso di critiche da più parti.
Dopo un quarto d’ora di attesa della star del giorno, i lavori si aprono con il primo intervento dell’estensore del disegno che in toni pacati ha esposto i punti fondamentali del testo. “Da vent’anni faccio l’avvocato di famiglia”, dice chiedendo di non chiamare la sua proposta DDL Pillon ma “un disegno di legge che si sforza di trovare una soluzione per molte famiglie che quando si trovano davanti a una separazione vengono lasciate a se stesse”. Riconoscendo che più dell’80% di chi si separa trova un accordo consensuale, Pillon specifica di rivolgersi solo a chi quell’accordo non lo trova: una minoranza che, secondo lui, si quantifica in “decine di migliaia di figli coinvolti”. Pur sostenendo che questo “non è il miglior disegno di legge del mondo” e aprendosi alle possibili critiche per modificare il testo, il senatore leghista però ribadisce i 4 pilastri per lui indiscutibili: la mediazione familiare, i tempi paritetici, il mantenimento diretto, e l’alienazione parentale, cioè quattro concetti che praticamente racchiudono il senso di tutto l’impianto del testo di legge.
Con la frase “esistono più padri alienanti che non mamme”, Pillon precisa di essere andato incontro alle esigenze delle “associazioni dei genitori separati e figli di genitori separati”, che da anni combattono per questa riforma riconoscendo anche che esistono numerose proposte di legge su questo tema presentate nelle passate legislature, dandoci così contezza che, al di là dell’appartenenza politica, quelle associazioni di cui parla il senatore chiamandole società civile (pur essendo un’esigua minoranza di padri separati che con le loro compagne si sparpagliano in tante associazioni), da molto tempo tentano di trovare appigli in parlamento per far passare essenzialmente i contenuti del DDL 735, presentati in altre proposte in passato, e che sperano, questa volta, di aver trovato il grimaldello giusto nelle fila della Lega che da tempo sostiene la causa di questa lobby composta di padri (più che di madri come il senatore vorrebbe farci credere).
La senatrice Valeria Valente del Pd è stata quella che nella discussione tocca più a fondo i punti dolenti del testo mentre il senatore Malan di Forza Italia appare più titubante e a tratti d’accordo con l’impianto del disegno, sottolineando soprattutto il pericolo dell’aspetto burocratico e invitando i magistrati a impegnarsi caso per caso sulle separazioni conflittuali. Entrambi però criticano che l’estensore del disegno sia anche il relatore in commissione giustizia al senato, così come “non ha aiutato” il fatto che lo stesso fosse un avvocato mediatore (affermazione poi respinta da Pillon che ha chiarito come sebbene abbia frequentato un corso da mediatore non abbia mai esercitato).
In un tempo da record, data la ristrettezza dell’incontro, Valente elenca le criticità del DDL 735, chiarendo subito che il Pd non ha mai presentato una proposta di legge con questo orientamento anche perché “noi eravamo al governo, e se la volevamo fare l’avremmo fatta”. La senatrice sottolinea poi che malgrado gli spiragli di revisione dimostrati dal senatore Pillon, “questo testo va ritirato, senza se e senza ma” perché “è una retromarcia a 360 gradi”: affermazione applaudita dal pubblico ma accompagnata dalla critica di Pillon verso una platea “decisamente orientata”. Interrotta continuamente da un padre separato in sala, Valente mette al centro i figli parlando di una “bigenitorialità perseguita nel testo in maniera ossessiva anche a scapito dei bambini”, e configurata addirittura come “superiore allo stesso interesse del minore”. Tra i vari punti messi sul tavolo ci sono la divisione del tempo di permanenza tra padri e madri senza distinzione di età – su cui bisognerà chiarire come “una madre che ha un figlio di tre mesi possa garantire 12 giorni a casa dell’altro genitore” – l’obbligo per “un ragazzo maggiorenne di andare dal giudice per fare la richiesta dell’assegno di mantenimento”, e la mediazione che nel testo si estende obbligatoria per tutti, contrariamente a quanto affermato dallo stesso Pillon all’inizio dell’incontro che ha indicato una differenza di registro tra le coppie che si separano consensualmente (82%) da quelle in conflitto (18%). Criticità che Pillon si è detto disponibile a rivedere, dicendo anche di essere aperto a tutte le osservazioni che verranno dalle associazioni che saranno audite in commissione giustizia, nessuna esclusa.
Ma i punti “caldi” del testo arrivano dopo. Nel suo secondo intervento Valente mette sul piatto della discussione due temi cruciali del DDL: quello degli articoli 11 e 12 e quello degli articoli 17 e 18 . I primi due riguardano in maniera specifica la frequentazione del minore del genitore che ha perso l’affidamento condiviso per cause gravi, come violenza domestica o abuso, e gli altri due sono quelli che riguardano l’alienazione parentale per cui un bambino che si rifiutasse di vedere un genitore verrebbe automaticamente tolto all’altro. Premettendo che in questi articoli i casi di violenza sono equiparati alla qualità degli spazi abitativi degli ex coniugi – minimizzando così la violenza stessa – Valente chiede a Pillon cosa significa escludere l’affido condiviso in presenza di una violenza “comprovata e motivata”, come scritto nel testo: un terzo grado di giudizio che, come sappiamo, in Italia arriva dopo anni e anni? E se così fosse, quali potranno essere i pericoli a cui saranno esposti il minore e la madre nel frattempo? Non solo, perché all’articolo 12 anche di fronte a casi gravi come violenza domestica o abuso, che prevedono l’affidamento esclusivo al genitore accudente, il testo tutela “in maniera ossessiva la bigenitorialità” costringendo il bambino a frequentare da solo e con pernottamenti il genitore abusante o maltrattante, tanto che la senatrice chiede: “ma rispetto a un figlio che è assegnato a un genitore in maniera esclusiva a causa di maltrattamenti, noi pensiamo veramente di dover cercare in maniera ossessiva un rapporto tra quel bambino e quel genitore?”.
Per gli articoli 17 e 18, scritti dal neuropsichiatra Gian Battista Camerini sull’alienazione parentale, la senatrice chiede invece all’estensore se davvero “possiamo ritenere questi bambini come esseri pensanti che magari hanno una ragione se non vogliono vedere un genitore” oppure no (domanda applaudita ma interrotta ad alta voce dal disturbatore in sala redarguito con minaccia di espulsione da parte della moderatrice), e continua citando il DDL che “a un certo punto arriva a dire che quando un bambino rifiuta un genitore, pur in assenza di evidenti condotte, un magistrato può arrivare all’estrema ratio di togliere l’esercizio della responsabilità genitoriale” anche nei casi di affido esclusivo per gravi condotte (v. art. 11): eventualità per cui il bambino, in caso di alienazione parentale, può essere tolto al genitore affidatario e affidato all’altro genitore, che potrebbe anche essere un maltrattante o un abusante, e tutto questo “inaudita altera parte durante un processo di separazione”.
Un testo che per Valente è “oltre ai limiti del possibile e del concepibile”, tanto da rimanere incomprensibile “come si possa essere arrivati a scrivere con un’aberrazione del genere calpestando non solo 50 anni di diritto di famiglia ma ogni senso logico e il rispetto della dignità della persona umana”.
Argomenti su cui, malgrado Pillon abbia ribadito più volte di non voler toccare la violenza endofamiliare e che i bambini “hanno diritto a non essere esposti alla violenza”, non c’è stata in nessun modo una risposta esauriente. “Alcune cose non sono vere e sulla questione della violenza voglio fare chiarezza perché questo è stato un cavallo di battaglia contro di me”, ha detto Pillon in risposta alle obiezioni della senatrice specificando che nel testo non vengono messi in discussione “né l’ordine di protezione, né la misura cautelare del divieto di avvicinamento”. Questo testo, aggiunge Pillon, “non è un testo sulla violenza contro le donne”, rassicurando che “non bisogna aspettare la condanna in giudicato perché quel genitore può essere escluso immediatamente se sussistono i presupposti di colpevolezza”: una risposta che però non risolve chiaramente il quesito sull’articolo 12 che permette a un genitore, di solito il padre, maltrattante o abusante di frequentare per 12 giorni, da solo e con pernottamento, il figlio minore in nome della bigenitorialità, creando probabilmente una profonda contraddizione con eventuali procedimenti in penale, che Pillon non tocca ma non spiega in che modo. Così come non spiega l’eventualità che un bambino possa essere tolto inaudita altera parte al genitore accudente e consegnato al genitore magari maltrattante in caso di sospetta alienazione parentale (art. 17 e 18).
Se però, precisa Pillon, “la donna ha l’arbitrio di escludere l’uomo o viceversa, perché conosco uomini che hanno fatto denuncia di violenza contro le compagne, e quindi se decidiamo che il primo che fa la denuncia si prende tutto il pacchetto: casa, figli, assegni, e tutto il resto, allora ce lo diciamo”. Con uno slalom da professionista Pillon non solo evade le questioni più scottanti ma mette sullo stesso piano la violenza maschile sulle donne, che è un fenomeno strutturale che colpisce 7 milioni di donne, e quella subita da uomini: due realtà che sia numericamente che sostanzialmente non si possono paragonare, in quanto si tratta da una parte di un fenomeno strutturale all’interno di un sistema discriminatorio di genere che dura da duemila anni, contro episodi in Italia sporadici e consumati in un contesto ancora patriarcale (malgrado statistiche prive di dati attendibili che i gruppi di padri separati fanno girare).
Non solo, perché facendo finta di non sapere che in Italia chi ha la casa, i soldi e tutto il pacchetto sono i mariti (spesso le mogli lasciano il lavoro per crescere i figli e si impoveriscono) e che quelle che vengono accusate di false denunce per potarsi via “il malloppo” sono le donne e non gli uomini, Pillon cerca in tutti i modi di occultare il fatto che questo DDL sia in realtà cucito addosso alla lobby dei padri separati (che fortunatamente non sono tutti), nella ricerca estenuante di equiparare sempre mamme e papà anche dove ciò è impossibile se non forzando la realtà dei fatti. Pillon, pur non rispondendo a tutti i quesiti della senatrice Valente, se da un parte ha rassicurato che lui della violenza non tratta, ha voluto precisare che chi fa “false denunce sta commettendo una violenza” e per questo va punito, dimostrando così di non voler arretrare neanche di una virgola rispetto ai punti più critici del suo testo di legge, in quanto le false denunce sono il cuore della matassa a cui si lega la minimizzazione della violenza contro le donne (che pervade l’intero testo), l’alienazione parentale e l’obbligo di frequentazione degli articoli 11/12, in quanto già oggi nei tribunali italiani l’accusa di false denunce è usata in maniera sistematica da parte di padri abusanti e maltrattanti che di fronte a una bambino che li rifiuta usano proprio le false denunce e l’alienazione parentale per accusare le madri di essere delle bugiarde che inventano violenze non vere solo per sottrarre loro i figli: una malafede dimostrata in perizie di psicologi e psichiatri compiacenti che etichettano queste madri come “malevoli” e manipolatorie.
Citando anche Paesi europei come la Francia, Pillon ripete che le istanze del DDL 735 lì sono state portate avanti dal mondo femminista senza sapere che invece in Francia, la teoria dell’alienazione parentale che lui vuole mettere in una legge, è stata categoricamente vietata dal governo che, sotto la spinta delle associazioni delle donne, ha scritto nel 5° Piano antiviolenza che “l’accusa di sindrome di alienazione parentale pone reali difficoltà, e porta a screditare la parola della madre, eccezionalmente il padre o il bambino, e quindi nega lo status di vittima invertendo le responsabilità” e che “nessuna autorità scientifica ha mai riconosciuto una tale sindrome”.