Con il Def giocano con la nitroglicerina. L’approvazione delle Camere. Sceneggiata di Savona: richiama Keynes, Roosevelt, il new deal. La Borsa chiude al ribasso e lo spread a 305. I richiami della Ue e del Fmi? Burocrati
Di Alessandro Cardulli
A proposito della nota di aggiustamento al Def, il documento di Economia e Finanza, la base per mettere a punto il Bilancio, approvato a maggioranza assoluta come prevede la legge, un esponente del mondo finanziario dice che “giochiamo con la nitroglicerina”. Ma anche lui è destinato a finire nel tritacarne di Salvini e Di Maio per i quali tutti i critici del documento sono “burocrati” che non contano niente. Loro rispondono al popolo. Mattarella cerca di far loro capire cosa prevede la Costituzione in rapporto ai “poteri” che costituiscono quello che si chiama Stato e quella che si chiama “Costituzione”, di cui parliamo in altra parte del giornale, ma loro, tosti, fanno finta di non capire. Forse ci sbagliamo, non capiscono proprio ed è ancora più grave. Ieri se l’erano presa con il vicedirettore generale di Bankitalia sbeffeggiato perché si era permesso di esprimere valutazioni negative sulla manovra di Bilancio e invitato a dimettersi e candidarsi alle elezioni. Era stato Di Maio ad avanzare l’invito a sloggiare, figurarsi se Salvini voleva rimanere indietro. Il presidente dell’Inps, fatti i conti, affermava che con “quota cento il debito sale di cento miliardi”. Anche per lui indicava la strada delle dimissioni e della candidatura alle elezioni. I due non potevano farlo nei confronti di Juncker, Moscovici, Dombrovskis, Katainen, i commissari Ue che anche oggi hanno ribadito le critiche al Def, tanto loro, dicono Salvini e Di Maio saranno rimandati a casa, bocciati dagli elettori alle prossime elezioni europee. Di nuovo interveniva la Lagarde presidente del Fondo monetario internazionale: “I membri dell’Unione devono rispettare le regole alle quali sono vincolati”. Nel dibattito al Senato e poi alla Camera, questi interventi guarda caso entravano nel mirino di leghisti e pentastellati galvanizzati dall’evento e venivano sbeffeggiati.
Dibattito a Camera e Senato senza particolari emozioni. Il no delle opposizioni
Prima al Senato e poi alla Camera il dibattito andava avanti senza particolari “emozioni” con le opposizioni che facevano valere il loro no. C’era solo da attendere l’esito del voto. Essendo necessaria la maggioranza assoluta per l’approvazione della risoluzione alla nota di aggiornamento leghisti e pentastellati “invitavano” alla presenza in aula tutti i parlamentari, senza esclusione alcuna. Ma a rompere la monotonia ci pensava il ministro Savona. Alle ore 18,22 la vicepresidente della Camera annunciava: “Ha facoltà di replicare il rappresentante del governo che invito a esprimere il parere sulla risoluzione”. In casi del genere prende la parola il regista della sessione di bilancio. Ma la vicepresidente fa il nome di Paolo Savona, ministro per gli Affari europei, che siede, solo, o quasi sui banchi del governo. Con lui c’è solo Riccardo Fraccaro. Non ci sono il titolare del Tesoro, Giovanni Tria, a Bali per il G-20, men che meno il premier Giuseppe Conte. Assenti anche i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Il viceministro all’Economia Laura Castelli siede più in basso, tra i banchi riservati ai sottosegretari. E Savona non si fa pregare. Doveva essere il suo intervento solo una presentazione del Def e una rapida risposta alle critiche avanzate da Renato Brunetta. Ma il Savona che avrebbe dovuto essere il ministro dell’Economia, di fatto, ne approfitta per fare una lezione a tutto tondo, occupa il palcoscenico. Descrive l’operazione Bilancio richiamando il new deal, Roosevelt, Keynes che ormai viene infilato ovunque. Lui e solo lui è l’autore della manovra di Bilancio. Rilancia la linea dei 5Stelle sul reddito, afferma che “colpisce direttamente ed esclusivamente la povertà”.
Standing ovation per l’intervento del ministro per gli Affari europei che sostituisce Tria
Arriva il primo applauso, poi si trasformerà in una standing ovation. Sembra di essere allo stadio. Il ministro getta i fogli con l’intervento che aveva preparato. Parla a braccio, difende a spada tratta Salvini. Tito Boeri aveva attaccato la proposta di Salvini. Ci pensa lui. “Le affermazioni del collega Boeri – afferma – sono al lordo di tutte le operazioni e per quanto mi risulta lo Stato dai pensionati incassa circa 50 miliardi, che è una somma superiore a quella che lo Stato dà per consentire lo sbilancio, e si parla sempre di sbilancio ma i pensionati si autofinanziano”. Poi gigioneggia: “l’Ufficio parlamentare di bilancio, che non ha validato il quadro programmatico dell’esecutivo?”. Fa finta di non ricordare il nome, balbetta. “Non riesco a pronunciarlo perché io ero un dei candidati in quella posizione che non mi fu assegnata, quindi ho rimosso dalla mia mente l’idea”. Applausi appassionati. Poi monta in cattedra: “I modelli econometrici che dicono una cosa sono numericamente pari ai modelli econometrici che ne dicono un’altra, la battaglia può avvenire sui modelli econometrici”. Tradotto vuol far capire che non è detto che la valutazione dell’Upb sia, strutturalmente, più valida rispetto a quella del Tesoro. Poi chiede un bicchier d’acqua. “Sapete – dice – io vado ad acqua”. A pensar male, come si dice, si fa peccato ma a volta ci si azzecca, come hanno detto alcuni parlamentari ricordando le polemiche tra Salvini, che non parla con chi non è sobrio, e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Quando entra nel merito della manovra assume il tono dello statista, sembra che l’abbia scritta lui, tanto la conosceva a memoria. E chissà che non sia così. Lo zampino ce lo ha messo.
Un intervento a braccio: necessario ripetere ciò che fece Roosevelt
Un intervento a “braccio”, insiste molto sul New deal di Roosevelt, “è necessario ripetere ciò che fece con il New deal”. Sembra dire, “ci sono io”. Il suo intervento non era previsto, mentre esce da Montecitorio ripete più volte: “A braccio, sono andato a braccio”. L’intervento doveva farlo Tria, dice “ma gli impegni all’estero glielo hanno impedito”. Ma, guarda caso, a mettere la firma sul primo atto del governo doveva essere Tria, ma è stato lui. Aveva dovuto cedergli il posto, una rivincita. Avrebbe dovuto farlo la viceministra Castelli che avrebbe dovuto presentare il documento di ratifica del parere della maggioranza sul documento. Ma si è limitata a dire: “Non c’è nulla da aggiungere a quello che ha detto il ministro Savona”. Così va il mondo ai tempi del governo gialloverde. Dimenticavamo l’esito delle due votazioni. Al Senato 165 sì, 107no,5 astenuti. Alla Camera 333 sì, 188 no, 3 astenuti. Così è finita la sceneggiata.