La magistratura deve fare il proprio lavoro. I giudici vanno rispettati e se c’è un’ipotesi di reato le indagini devono fare il loro corso. Ciò, per chi scrive, è imprescindibile. Ma leggendo l’ordinanza e il comunicato della Procura di Locri emerge con chiarezza che l’inchiesta sulla gestione del sindaco Domenico Lucano del comune di Riace sia stata caratterizzata da errori procedurali, congetture e approssimazione.
A cominciare dalla richiesta d’arresto del Giudice per le indagini preliminari, Domenico di Croce, il quale ha rigettato diverse accuse ipotizzate nei confronti di Lucano, appare evidente la fragilità dell’intero impianto accusatorio.
Il procuratore che ha aperto il fascicolo sul primo cittadino di Riace, Luigi D’Alessio, aveva chiesto addirittura la custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere, truffa aggravata, falso, concorso in corruzione, abuso d’ufficio e malversazione. Ma il gip non ha ritenuto di concederla a fronte della convinzione che le imputazioni più gravi non fossero supportate da elementi validi criticando in diverse parti l’ordinanza e l’operato di magistrati e investigatori.
Una “corposa istanza coercitiva”, così descrive il giudice l’azione del pm.
Durate l’ultimo anno e mezzo, le indagini si sono fondate su intercettazioni ambientali e telefoniche e sull’acquisizione di diversi atti amministrativi.
Le accuse dei pm relative alla presunta “turbativa dei procedimenti per l’assegnazione dei servizi
d’accoglienza”, rileva tra l’altro il gip, sono così “vaghe e generiche” da rendere il capo d’imputazione “inidoneo a rappresentare una contestazione alla quale agganciare un qualsivoglia procedimento custodiale”.
E ancora, sottolinea che “pur volendo ipotizzare che fosse intenzione degli inquirenti rimproverare agli indagati l’affidamento diretto dei servizi, il mero riferimento a ‘collusioni’ ed ‘altri mezzi fraudolenti che avrebbero condotto alla perpetrazione dell’illecito, si risolve in una formula vuota”.
In parole povere, il lavoro dell’accusa è incompleto e inconsistente e non potendo il giudice dell’indagine preliminare ‘sostituirsi indebitamente al pm per individuare collusioni o mezzi fraudolenti” lo stesso non poteva avvalorarle.
Lo sconcerto del gip è talmente strabordante che non riesce a fare a meno di ribadire che non avrebbe potuto fare diversamente essendo qualsiasi altra ‘condotta’ “impedita dai più elementari principi processuali e penalistici”.
E c’è di più: nell’ordinanza mancano, tra gli allegati alla richiesta dell’imputazione di turbativa, sia gli atti con i quali gli affidamenti diretti venivano decisi sia le convenzioni che agli stessi facevano seguito.
Anche volendo, è la conclusione del gip, “non vi sarebbe modo di capire né quali motivazioni sorreggevano tale ipotetico modus operandi, né quale sarebbe il corrispettivo dei servizi affidati”.
Stesso mood per l’accusa di truffa aggravata e di falso. Seppure il Gip affermi che “il contenuto delle intercettazioni lscia
trasparire una modalità opaca delle somme destinate agli operatori privati”, al di là di questa considerazione ritiene che gli inquirenti “siano incorsi in un errore tanto grossolano da pregiudicare irrimediabilmente la validità dell’assunto accusatorio”.
Insomma un’ordinanza le cui teorie accusatorie, quanto meno le più gravi, sono sostanzialmente indimostrabili,”presuntive e congetturali” e “sfornite di precisi riscontri estrinseci”.
Ma i rilievi più pesanti appaiono quelli relativi all’accusa di concorso in corruzione.
Per Di Domenico “gli inquirenti non hanno approfondito con la dovuta ed opportuna attenzione l’ipotesi investigativa” nonostante fosse il reato più grave contestato al sindaco: insomma una “assoluta carenza di riscontri estrinseci” e testimonianze inattendibili.
E dunque, cosa rimane di concreto dell’impianto accusatorio?
A leggere l’ordinanza, e il comunicato della Procura di Locri, l’unico reato imputabile al sindaco, l’unica vera ‘colpa’, sarebbe l’aver organizzato “matrimoni di convenienza” pur di permettere a migranti di restare in Italia, di aver favorito per la raccolta rifiuti cooperative di migranti e di aver non aver sempre ottemperato alle regole.
Fin qui i fatti. L’analisi dell’ordinanza: questa inchiesta è destinata a sgretolarsi. Accusa dopo accusa.
Ma intanto il danno è fatto.
Resta, però, la consapevolezza che il sistema Riace, ciò che il sindaco Lucano ha realizzato in questi anni, non possa essere danneggiato, né oscurato da questa inchiesta che deve fare il suo corso per poi disperdersi come è giusto che sia.