di Vittorio Martone
Lo scioglimento del Municipio X di Roma, meglio conosciuto come Ostia, nome della sua porzione litoranea, è una delle conseguenze più immediate che la nota operazione Mondo di Mezzo ha prodotto nella vita amministrativa della Capitale d’Italia.
Già nel dicembre 2014, con l’esecuzione delle misure cautelari per coloro che erano ritenuti partecipi alla cosiddetta Mafia Capitale, veniva espressa la necessità di una commissione d’accesso per vagliare le influenze mafiose sull’amministrazione capitolina. Nel giugno 2015, dopo 6 mesi di indagini, la commissione presieduta dal prefetto Marilisa Magno depositava una relazione in cui si proponeva lo scioglimento di Roma Capitale per grave condizionamento da parte del sodalizio guidato da Buzzi e da Carminati. In quella relazione, 127 delle 834 pagine descrivono il Municipio X, definito “un caso particolare”, dove “accanto all’accertato condizionamento sulla vita istituzionale locale del sodalizio Mafia Capitale, attuato replicando le modalità operative utilizzate con successo sui dipartimenti centrali, si pongono forme di penetrazione legate alla presenza delle mafie locali” .
Nella successiva relazione del luglio 2015, il nuovo Prefetto di Roma Gabrielli optava per il commissariamento del solo Municipio X. Responso poi deliberato dal Consiglio dei Ministri e decretato dal Presidente della Repubblica il 27 agosto successivo: Roma finiva sotto la supervisione del Prefetto, Ostia sciolta per infiltrazioni mafiose.
La commissione Magno aveva esaminato i comparti dell’amministrazione pubblica maggiormente coinvolti nelle mire di Mafia Capitale: ambiente e protezione civile, politiche sociali, politiche abitative, gestione dei rifiuti e del patrimonio. Per questi e per altri settori contigui, a Roma come a Ostia erano emerse criticità del tutto analoghe: diffusa irregolarità nei contratti pubblici, frammentazione dei centri di spesa, gestione emergenziale con proroghe e affidamenti in urgenza e senza competizione, assenza pressoché totale di controlli, anche grazie all’espediente dello spezzettamento delle gare tenute sotto soglia comunitaria.
A Roma come a Ostia questa disponibilità della macchina burocratica e della politica locale avevano favorito l’operatività di Mafia Capitale: basti ricordare che l’allora Presidente del Municipio X veniva coinvolto nell’inchiesta della Procura di Roma per aver preso parte a un circuito corruttivo che assicurava procedure d’appalto per lavori a somma urgenza inerenti il verde pubblico e la pulizia delle spiagge.
Proprio la gestione delle spiagge era al centro di un altro filone d’inchiesta che coinvolgeva l’allora Dirigente dell’Ufficio Tecnico del Municipio X, perno di innumerevoli anomalie, illegalità e collusioni ivi comprese le forme di affidamento delle spiagge ai “privati”. Tra questi ultimi, anche le “mafie locali”, forme peculiari di privato da decenni interessate agli stabilimenti e facilitate proprio dall’illegalità diffusa nel comparto. A Ostia hanno gestito chioschi e stabilimenti balneari le propaggini di Cosa Nostra, gli epigoni della Banda della Magliana e le due organizzazioni autoctone recentemente prevalenti, la cui caratura criminale ha spinto la magistratura a contestare il reato di associazione mafiosa.
Si tratta dei Fasciani e degli Spada, ampie imprese familiari violente tradizionalmente dedite, i primi, all’usura, al narcotraffico e alla distribuzione di slot machine; i secondi, alle estorsioni e al controllo delle piazze di spaccio, nonché al racket degli alloggi popolari.
Negli anni le due compagini accumulano ricchezze che reinvestono nell’economia legale, sfruttando la propria reputazione criminale, ma anche le ampie relazioni collusive e di scambio nel mondo dell’impresa e delle professioni, della politica e della pubblica amministrazione locale. Emblematico il tentativo di ingresso degli Spada nella gestione di uno stabilimento balneare (Orsa Maggiore): fino al 2012 affidato a Cral delle Poste Italiane, secondo l’accusa nell’agosto di quell’anno all’Orsa Maggiore veniva revocata la concessione, senza alcuna legittimità, a opera del Direttore dell’Ufficio Tecnico summenzionato, che intimava lo sgombero per poter affidare la spiaggia a un’altra società, costituita ad hoc poco prima, senza autorizzazioni o competenze per operare, ma con legami solidi nel Municipio e soci più o meno occulti. Tra essi, un nipote di Carmine Spada, detto Romoletto, capofamiglia già condannato a 10 anni di carcere per estorsione aggravata dal metodo mafioso nel giugno 2016.
Di fronte a tale promiscuità tra ente locale e criminalità organizzata, nel più ampio scenario di illegalità politico-ammnistrativa ravvisato sopra, sciogliere il Municipio X è sembrato quantomeno ragionevole.
Nel settembre 2015 Ostia veniva così affidata alla commissione straordinaria presieduta da Domenico Vulpiani, che proprio sul fronte del ripristino della legalità nella gestione del demanio marittimo e nel risanamento delle aree di abusivismo diffuso ha dedicato buona parte degli sforzi, incontrando anche le maggiori resistenze, come viene descritto nell’audizione dello stesso Vulpiani alla Commissione parlamentare di inchiesta su sicurezza e degrado delle città (febbraio 2017) e nella relazione al Ministro dell’Interno (marzo 2018). Perché nel mercato protetto del balneare e del suo indotto sta il problema principale di Ostia. In esso le mafie hanno trovato accoglienza reinvestendo i proventi illeciti.
Eppure il dibattito pubblico e la tematizzazione politica che si accompagna al commissariamento – come accade spesso nei casi di scioglimento – rimangono quasi del tutto schiacciati sulla diatriba “mafia/non mafia”, sfociando in inevitabili processi di semplificazione e di etichettamento situabili lungo un continuum tra allarmismo e negazione. Sul primo fronte, “Ostia come Corleone” diviene un adagio diffuso, accompagnato da descrizioni evocative di chi percepisce una mafiosità “che si respira nell’aria” del litorale romano. Sull’altro fronte, le argomentazioni che difendono Ostia come capro espiatorio dei mali secolari di Roma, che derubricano l’abusivismo diffuso come urbanistica di necessità, che rifiutano l’etichetta mafia perché intaccherebbe l’immagine di un territorio vocato all’attrattività turistica e popolato da imprenditori ed esercenti onesti “che non pagano il pizzo”.
Anche nel quadro di tali esasperazioni possono leggersi le manifestazioni e le prese di posizione promosse da fazioni politiche, associazioni di categoria e forze sociali di diversi schieramenti, pronunciatesi contro il commissariamento straordinario e in parte convogliate nella manifestazione del gennaio 2017, quando il mandato commissariale (originariamente stabilito in 18 mesi) veniva prorogato di 6 mesi fino a settembre 2017, data in cui si sarebbe aperta la breve ma intensa campagna elettorale che ha visto vincitrice la candidata del M5S.
Una campagna che ha posto al centro del dibattito proprio legalità, sicurezza e concessioni balneari, temi trasversali ai programmi delle principali liste, seppure affrontati con sfumature differenti a seconda delle posizioni ideologiche: dal ripristino del mare “bene comune” alla valorizzazione economica del comparto, fino alla difesa del territorio.
Al di là degli approcci, l’attuale amministrazione può ora godere di una macchina municipale meno collusa e disorganizzata rispetto al 2015, che ha perduto parte delle proprie sponde criminali, fortemente ridimensionate dalle operazioni di polizia e magistratura. La fine del commissariamento è stata acclamata come il ritorno della democrazia e della partecipazione elettorale nel Municipio X.
È dunque giunto il tempo di tematizzare i mali di Ostia come problemi politici (e di politiche), dismettendo il vocabolario legalitario o vittimistico e lavorando sui contesti che hanno favorito la genesi di quelle “mafie locali” citate nella relazione Magno. Tra di essi: da un lato, la Ostia-periferia, esito dell’urbanizzazione disordinata che ha ingenerato elevata concentrazione di svantaggio sociale e residenziale con quartieri malmessi, inondati da un flusso demografico che ancora rifocilla sacche di riproduzione di diverse forme di delinquenza. Dall’altro lato, la Ostia-waterfront, esito di un mercato balneare fatto di relazioni collusive poggiate sulla complicità di costruttori e imprese, dirigenti, funzionari pubblici e politici, che hanno facilitato la proliferazione di illegalità diffuse nella brutale privatizzazione della risorsa mare.