Oggi più che mai è necessario schierarsi a difesa, strenuamente, della libera stampa

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Il potere politico non è nuovo ad attacchi alla libera stampa: in passato Silvio Berlusconi ha condotto, nei confronti di alcune testate e di alcuni giornalisti, battaglie all’ultimo respiro, nel tentativo di mettere a tacere voci scomode. Ma gli attacchi di oggi, quelli ripetuti dal ministro Luigi Di Maio nei confronti del gruppo editoriale Gedi, e dunque dei giornalisti di Repubblica e dell’Espresso hanno un tono – ed un sapore – diverso: più grave, più allarmante e più insidioso. Anzitutto è sbalorditivo – ma questa compagine governativa ci ha abituato a non poche cose sbalorditive e non in una accezione propriamente positiva- che un ministro del lavoro faccia il tifo per la chiusura di un giornale e dunque per la perdita di non pochi posti di lavoro, tacendo il fatto che desta sgomento che un ministro faccia il tifo contro la libera stampa.

Ma, come dicevo, le parole di Di Maio sono più pericolose per un altro motivo: perché sono parole che nascondono una precisa visione della stampa che accomuna Di Maio – ed in generale i Cinque Stelle – più alle democrazie illiberali – modello Ungheria e Russia – che a quelle liberali. Di Maio ed i Cinque stelle, infatti, non si limitano a propagandare, come vere, delle palesi bugie – i giornali come Repubblica o il Corriere della Sera non godono di finanziamenti pubblici – ma aspirano, neanche tanto segretamente, al superamento della libera stampa così per come la conosciamo, al netto anche dei suoi difetti beninteso. Mirano, infatti, ad una realtà completamente disintermediata, cioè priva della mediazione della stampa, dei giornalisti e dunque delle competenze. Aspirano ad una realtà – i social – in cui la comunicazione è diretta fra l’eletto ed il cittadino, facendo credere che soltanto questa comunicazione garantirebbe al cittadino “la realtà che gli altri nascondono”, per utilizzare un leit motiv grillino. I pericoli di questa visione non sono difficili da scorgere, ed alcuni sono già dinanzi ai nostri occhi, perché hanno determinato finanche esiti elettorali, basti pensare all’elezione di Trump o ai recenti successi delle forze sovraniste in tutta Europa.

L’eletto, infatti, comunica ciò che ritiene di dover comunicare, ciò che più gli aggrada, spesso senza competenza alcuna, e soprattutto senza il rischio che un giornalista possa replicare, obiettare, confutare o finanche smentire ciò che viene detto. Il pubblico diventa lo spettatore di uno spettacolo diretto unicamente – esso sì- dal potere, di qualunque colore. Di più: si perdono le competenze, perché chiunque e senza alcuna preparazione – e negli ultimi mesi non sono mancati i casi – può dire ciò che vuole: si può far credere che l’aumento dello spread sia opera di Soros o che sia in corso un emergenza immigrazione. Si distorce, insomma, la realtà. Si crea una percezione della realtà che è lontana anni luce dalla realtà. Asseriscono, i fautori di questa visione della comunicazione, che soltanto così il popolo può godere di una informazione (in realtà è una propaganda) realmente libera, perché gli altri – i giornali – hanno interessi reconditi o padroni, oltrepassando, così dicendo, il ridicolo perché sostenere che un giornale che abbia un editore schierato politicamente non sia libero significa affermare che il Washingotn Post o il New York Times non siano liberi, nonostante il proprio colore. Significa affermare che Enzo Biagi o Indro Montanelli, nonostante le loro visioni del mondo, non fossero liberi. Significa affermare che la tragedia del Vajont non fosse stata anticipata dall’Unità, perché giornale comunista o fosse stata anticipata per ragioni politiche.

In realtà, buona o mala fede che si celi dietro questi intendimenti, la volontà di Di Maio e dei Cinque Stelle è proprio quella di porre fine ad una informazione che, pur con tutti i suoi limiti, è la sola possibile, perché affida a professionisti e a vere competenze la comunicazione fra il potere ed il cittadino: perché spetta alla stampa ingenerare dubbi, dare le notizie ma, di più, dando alle stesse un ordine, connetterle con i fatti. Il nostro mondo non pecca di poche informazioni, ma di troppe informazioni che devono essere spiegate e messe in ordine. E’ la stampa che deve informare e formare. E d’altronde non è un caso che i Di Maio non parlino mai di pubblica opinione ma di popolo, come massa indistinta e non come entità ragionata e ragionevole. Ecco perché, dunque, oggi più che mai è necessario schierarsi a difesa, strenuamente, della libera stampa.


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