Tornare da Assisi, dopo avere partecipato ad un incontro di Articolo 21 parecchio interessante e partecipato sull’uso delle parole secondo un preciso decalogo che vale per i giornalisti ma non solo per i giornalisti e registrare che quello che ci siamo detti a proposito della Sicilia non sono state parole, per restare in tema, pronunciate a vanvera. Lo sappiamo oramai da qualche ora: al presidente della Commissione antimafia della Regione Sicilia, l’on. Claudio Fava, che intanto per tanti noi resta un giornalista punto di riferimento nel quotidiano lavoro, è stata recapitata direttamente nel suo ufficio all’Assemblea Regionale Siciliana, una busta con un proiettile calibro 7,65. Brutto, bruttissimo affare.
Ovviamente a Claudio Fava è arrivata tanta solidarietà, ma non è di questa solidarietà che vogliamo scrivere. Ce ne siamo occupati con altri articoli. E’ stato un episodio grave ed inquietante, che arriva mentre Fava da presidente dell’antimafia ha aperto tanti capitoli d’inchiesta, su mafia, corruzione, sulle “zone grigie”, su persone ritenute dai più per bene nonostante il loro agire ambiguo e opaco, che vivono con il silenzio complice. Ecco vogliamo parlare di un certo silenzio. Ad Assisi, parlando di Sicilia, lo abbiamo detto. Mentre è giusto che si dibatta sull’uso delle parole, in Sicilia invece abbiamo bisogno di tante parole. In Sicilia raccontare i mali di questa terra resta cosa difficile, anche dall’aula di un Parlamento come ogni giorno fa l’on. Claudio Fava, mentre altri tacciono o esprimono parole di circostanza.
Il proiettile che gli è stato recapito col servizio postale , gli è giunto a pochi giorni dall’approvazione di una sua proposta di legge che obbliga i politici, parlamentari, ma anche amministratori locali, a dichiarare la loro appartenenza alla massoneria. Una legge approvata ma che non ha trovato tanti commenti, tante parole a parte quelle di routine, anche da parte di alcuni di quei deputati che l’hanno votata. Ecco anche in questa occasione sono mancate le parole. E così, al solito, hanno parlato i conservatori di un certo potere mandando a Fava un proiettile. E’ già successo in altre occasioni, scrivendo di mafia e massoneria c’è chi in risposta manda pizzini di minacce, o proiettili come in questo caso. In Sicilia accade sempre così, chi si schiera dalla parte della lotta al malaffare, che in Sicilia ha il comune denominatore mafioso, finisce minacciato e talvolta pure indagato, oppure tutte e due le cose insieme. E questo accade perché manca il coro, quello che dovrebbe unire tutti gli impegni responsabili su qualunque fronte, dal politico al giornalistico. Chi si impegna viene puntualmente isolato, pronto per il tiro al bersaglio.
Questo è un gioco che non ci è mai piaciuto e ancor di più adesso, perché colpisce i diritti e i doveri insiti nella nostra Costituzione, segnati dall’articolo 21, la cui valenza in questi giorni parole sconsiderate viene messa in pericolo. E’ arrivato il momento di ribellarsi non solo di offrire e dare solidarietà. Contro lo strapotere e l’arroganza di boss, di criminali senza scrupoli e dei loro sodali in giacca e cravatta bisogna trovare senza riserve tutte le parole di condanna. Sopratutto dobbiamo trovare parole per raccontare ai lettori quello che accade nei sottoboschi dei poteri criminali. Dobbiamo fare rete senza perdere tanto tempo ancora. La minaccia a Claudio Fava è arrivata a pochi giorni da un incontro svoltosi a Palermo e dedicato ai 30 anni trascorsi dall’omicidio di Mauro Rostagno. anche in questo caso in Sicilia sono state spese poche parole, tra quelle dette ci sono state quelle di Claudio Fava che ha ricordato come Rostagno fu ucciso mentre tutto quello che gli girava attorno puntava a ridimensionare le sue inchieste giornalistiche. L’informazione in Sicilia non ricordando Rostagno ha esposto ancora di più Claudio Fava.
Ci piacciono le parole scritte da Libera perché spronano i cittadini a non essere più silenziosi: “Caro Claudio, nessuna minaccia, nessuna intimidazione può fermare quella fame e sete di verità e giustizia che tutti noi avvertiamo. Chiunque c’è dietro questo gesto, deve sapere che esiste una Sicilia e un’Italia che s’impegnano per la libertà e la giustizia sociale, e che di fronte alle minacce e ai proiettili non indietreggiano né tacciono. Con te Claudio cammina una Sicilia e un’Italia , per le quali la ricerca della verità è un imperativo etico, un obbligo di coscienza che precede ogni valutazione e calcolo di convenienza.”