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La minaccia al “made in Italy” che viene dal mare

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Di Paolo Borrelli e Patrizio Pizzi

La contraffazione è un fenomeno globale. Scorre sotto la superficie della maggior parte dei Paesi, attraversandoli in profondità come un fiume carsico.
Laddove emerge, lo fa in rivoli che non destano, in molti casi, alcun allarme, incontrando piuttosto il favore di chi vi attinge, sedotto da prezzi inferiori a quelli dei prodotti originali. Ogni giorno, possono essere colti i momenti terminali di una filiera ben più radicata ed estesa: sono quelli della vendita al dettaglio.
Cosa vi sia dietro, anzi “sotto”, il gesto finale dell’acquisto occasionale su una spiaggia o su un banchetto abusivo sfugge ai più. E’ semplicistico ed erroneo ritenere che tutto sia espressione locale di un piccolo commercio di sopravvivenza: quella condotta, infatti, insieme a tante altre, contribuisce ad alimentare un fiume di profitti illegali, che continuano a scavare in profondità ampie voragini nelle fondamenta dell’economia legale, mettendo a rischio, ogni giorno di più, salute, sicurezza e sistemi produttivi, a vantaggio dei profitti della criminalità organizzata.
Il Senato della Repubblica (ufficio Valutazione Impatto) e la Guardia di Finanza hanno stilato, nel luglio 2017, un dettagliato bilancio di questo fenomeno, approfondendo profili giuridici e implicazioni economiche di un’attività che colpisce, in modo particolare, il nostro Paese, perché danneggia il “made in Italy”, svilendo il prestigio del marchio italiano nel mondo:  vi si legge che, nel quinquennio dal 2012 al 2016, la Guardia di Finanza ha eseguito 60 mila interventi di polizia giudiziaria, sequestrando 1 miliardo di prodotti per un controvalore di 10,8 miliardi di euro e inibito 1.614 siti Internet (620 nel solo 2016).
La lotta al mercato del “falso” è proseguita anche nel 2017. Lo testimoniano gli oltre 264 milioni di articoli sequestrati dalle Fiamme Gialle nell’ultimo anno e mezzo, tra cui quelli propriamente contraffatti o con falsa indicazione del made in Italy, quelli non sicuri e i prodotti alimentari recanti marchi industriali falsificati o indicazioni non veritiere circa l’origine e la qualità.
I comparti merceologici interessati sono i più disparati: si va dai beni di lusso (ad esempio accessori di moda o orologi di alta gamma) ai prodotti intermedi (ad esempio macchine, pezzi di ricambio o sostanze chimiche), dai beni di consumo che hanno un impatto sulla salute e sulla sicurezza delle persone (ad esempio prodotti farmaceutici, bevande e alimenti, attrezzature mediche o giocattoli) ai prodotti alimentari.
Gli effetti negativi del fenomeno sono molteplici e incidono su differenti interessi, pubblici e privati, poiché colpisce non solo i legittimi detentori dei diritti di proprietà intellettuale ma produce danni all’intero sistema economico, scoraggiando l’investimento di risorse in ricerca, sviluppo e lavoro regolare, fattori che consentirebbero alle imprese di essere competitive in un mercato che, pur se altamente concorrenziale, selezionasse i prodotti e le iniziative imprenditoriali solo sulla base della qualità, premiando così gli investimenti.
Poi vi sono i danni per la salute, messa a rischio dall’impiego di coloranti o altri materiali nocivi.
Infine va considerato il forte legame tra la contraffazione e i reati ambientali, che vengono commessi nello smaltimento dei residui della produzione di merci contraffatte.
Le stime del fenomeno, riferendosi a un mercato illecito, non sono facili: secondo la ricerca realizzata dal Censis per il Ministero dello Sviluppo Economico e presentata a Roma nel giugno del 2017, il fatturato globale della contraffazione in Italia ammonta a circa 6,9 miliardi di euro (stima riferita all’anno 2015) e sottrae all’economia legale 100mila occupati e 1,7 miliardi di euro di gettito fiscale.
L’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO), in uno studio pubblicato nell’aprile 2016, ha stimato che l’impatto economico globale del commercio di merci contraffatte e di merci usurpative – secondo gli ultimi dati disponibili del 2013 –  sia pari a 338 miliardi di euro, equivalente al 2,5% degli scambi commerciali a livello mondiale.
In tale ambito, primeggiano le organizzazioni criminali, come testimoniano le conclusioni che la Commissione Parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo ha rassegnato il 2 agosto 2017, licenziando la relazione sul rapporto tra criminalità organizzata e contraffazione. Dall’inchiesta è emersa con chiarezza l’esistenza di una stretta connessione tra la contraffazione e le attività delle organizzazioni criminali, in particolare i clan di camorra e soprattutto ‘ndrangheta, che, attratti dai bassi rischi penali e dagli alti profitti economici, hanno impresso un salto di qualità all’organizzazione del mercato produttivo e distributivo in esame, incidendo in maniera rilevante su un trend in costante  ascesa,  anche in ragione  del capillare controllo del territorio e delle reti di movimentazione delle merci, già ampiamente sviluppato e collaudato in altri traffici illegali (stupefacenti, armi, ecc.).
Per questo motivo l’attività di contrasto della Guardia di Finanza trae principalmente alimento dall’attività investigativa sul territorio e dal controllo del mare e degli spazi aerei, mirando alla disarticolazione delle filiere produttive e distributive e all’aggressione dei patrimoni illecitamente accumulati, mirando a colpire tutti gli illeciti che sono collegati alle produzioni di merci contraffatte.
I risultati dell’azione di contrasto del Corpo confermano, peraltro, le statistiche relative alla provenienza e alle rotte internazionali della merce contraffatta formulate dalla Commissione europea nel “Report On EU Customs Enforcement of intellectual property rights – results at the EU Border 2016”: la Cina continua a essere la principale fonte di produzione di beni che violano i diritti di proprietà intellettuale, seguita da Hong Kong, Vietnam, Turchia e India.
Le merci provenienti dall’area europea giungono, prevalentemente, attraverso i confini terrestri (dalla frontiera comunitaria lungo la rotta balcanica e la rotta spagnola), mentre quelle di provenienza asiatica viaggiano soprattutto via mare in container e con spedizioni aeree. L’introduzione di tali merci nel territorio italiano è prettamente di tipo intra-ispettivo, cioè attraverso l’utilizzo di regolari canali doganali.
Nelle aree doganali e nelle zone limitrofe, sono molteplici le operazioni di servizio che hanno condotto complessivamente a sottoporre a sequestro oltre 15 milioni di prodotti contraffatti o non conformi.
Lo scorso anno, è proprio nel porto di Salerno che si è conclusa un’operazione che ha consentito di individuare e sottoporre a sequestro quasi 7 milioni e mezzo di prodotti di provenienza cinese, costituiti da materiale elettrico, elettronico e giocattoli, risultati sprovvisti della prevista marcatura CE e di qualsiasi altra idonea documentazione inerente la conformità degli stessi e/o riportanti illecitamente i brand di note marche di prodotti tecnologici.
Nel porto di Genova, a maggio 2018, i finanzieri hanno portato a segno l’operazione “Aquaplaning”, individuando e sottoponendo a sequestro 5 containers di pneumatici, per un peso complessivo di circa 52 tonnellate, provenienti dalla Cina e recanti mendaci indicatori prestazionali. Erano destinati, tramite una società di distribuzione meneghina, al mercato nazionale, ma chi li avesse montati sulla propria autovettura avrebbe messo seriamente a rischio la propria sicurezza.
Di particolare rilevanza è anche il fenomeno della contraffazione nel settore dei tabacchi lavorati. In questo settore, una recentissima operazione della Guardia di Finanza di Palermo e della Compagnia di Marsala ha dimostrato la capacità trasversale di impresa della criminalità. Pericolosi pregiudicati tunisini avevano messo in piedi un’associazione con soggetti di nazionalità italiana e marocchina per trasportare, mediante potenti gommoni carenati condotti da esperti scafisti, immigrati clandestini e sigarette di contrabbando. Un vero e proprio servizio “shuttle” dalle spiagge di sbarco sino alle basi logistiche dell’organizzazione, laddove, una volta rifocillati e forniti di vestiario, i migranti potevano liberamente raggiungere le destinazioni desiderate.  Nell’ambito del gruppo delinquenziale, operavano anche alcuni soggetti con orientamenti tipici dell’islamismo radicale di natura jihadista.
Ancor più di recente, la Guardia di Finanza di Genova ha concluso l’operazione “Fumo di ponente”, sequestrando, stivati in un container dietro un carico di copertura di articoli da giardinaggio, oltre 400.000 pacchetti di sigarette realizzati mediante la contraffazione dello storico marchio “MARLBORO” della multinazionale del tabacco Philip Morris International Inc., per un peso complessivo di 8 tonnellate, pari a un valore sul mercato al dettaglio di circa 2 milioni di euro
La contraffazione, come noto, colpisce anche il mercato dei medicinali. Nel settembre del 2017, le Fiamme gialle di Brindisi hanno sottoposto a sequestro oltre 1.300.000 fiale di un prodotto parafarmaceutico indicato per l’igiene nasale quotidiana dei bambini e degli adulti, in quanto sulle confezioni era falsamente apposta la dicitura “Made in Italy”.
Ancora a Genova, nel mese di maggio 2018, la Guardia di Finanza ha individuato e sottoposto a sequestro oltre 1.200.000 medicinali, riportanti noti marchi di case farmaceutiche risultati contraffatti nel packaging e privi del principio attivo, che avrebbero potuto facilmente trarre in inganno il consumatore nazionale e comunitario, confondendosi tra i prodotti lecitamente commercializzati.
Altre importanti operazioni in Campania e Calabria hanno dimostrato che quello della contraffazione è diventato un redditizio e autonomo ramo d’impresa della criminalità organizzata.
Fra tutte, l’operazione “Gomorrah”, che ha portato alla luce una vera e propria joint venture tra clan camorristici campani e consorterie di origine straniera, responsabile di traffico di prodotti elettrici e meccanici contraffatti importati dalla Cina e smistati in vari Stati europei.
In Calabria, dove il porto di Gioia Tauro costituisce uno dei più importanti scali della merce contraffatta proveniente dall’Asia, i militari del Corpo hanno portato a termine l’operazione “Bucefalo”, nella quale sono venute in evidenza ingerenze della cosca “Piromalli-Molè”. Sono state eseguite ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 11 soggetti e sequestrate società e patrimoni per circa 210 milioni di euro, accertando una fiorente attività di vendita di articoli di abbigliamento e accessori recanti marchi contraffatti posta in essere da un noto imprenditore sodale alla cosca.
Questi cenni all’attività della Guardia di Finanza, che insieme a quella delle altre Forze di Polizia è ben più dettagliatamente descritta nella relazione parlamentare citata, dimostra quanto sia impervio il terreno nel contrasto in sede di repressione, e quanto sia impegnativa l’opera di prevenzione che si svolge attraverso il controllo del territorio. Il contrasto, ancorché sempre necessario, da solo, evidentemente non basta: dove c’è un mercato, seppure illegale, vi sarà sempre chi organizzerà l’offerta, fino a quando il consumatore – presa contezza del disvalore della propria condotta, dei rischi sulla salute propria e di terzi, nonché della latitudine dell’economia illecita in tal modo alimentata, a vantaggio di radicate organizzazioni criminali – non ridurrà, sino a estinguerla, la domanda.

Da mafia 


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