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Khashoggi, la Turchia accusa: ucciso dall’Arabia Saudita. Amnesty: se confermato, sarebbe esecuzione extragiudiziale

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Sconvolgenti rivelazioni sulla scomparsa di Jamal Khashoggi, 59enne giornalista saudita, tra le voci più critiche nei confronti del regime di Riad, del quale si erano perse le tracce lo scorso martedì in Turchia. Sarebbe stato ucciso all’interno del Consolato dell’Arabia Saudita a Instabul e fatto sparire.
La clamorosa ipotesi, trapelata da una fonte della Polizia turca, se confermata rappresenterebbe un precedente di gravità inaudita.
Ma le autorità saudite negano tutto: la sede diplomatica ha escluso che il giornalista sia stato assassinato all’interno della struttura.
Il governo di Ankara, per ora, non commenta ufficialmente tuttavia la questione rischia di deteriorare l’immagine del Regno, in primis del principe ereditario Mohammed bin Salman, e pregiudicare le relazioni tra i due paesi.
Sulla vicenda è intervenuta anche Amnesty International attraverso la direttrice delle ricerche sul Medio Oriente Lynn Maalouf che ha dichiarato: “Le notizie dell’arrivo dall’Arabia Saudita di un apposito team per eseguire un ‘omicidio pianificato’ nel consolato saudita di Istanbul sono motivo di estremo allarme, dato che Khashoggi è scomparso da quando, il 2 ottobre, è entrato all’interno di quell’edificio”.
Un assassinio all’interno del consolato, che è territorio sotto la giurisdizione dell’Arabia Saudita, ha sottolineato la Maalouf, costituirebbe “un’esecuzione extragiudiziale e seminerebbe il panico tra i difensori dei diritti umani e i dissidenti sauditi ovunque nel mondo, rendendo privo di significato il concetto della ricerca di protezione all’estero”.
Da tempo l’organizzazione internazionale per i diritti umani denuncia che le autorità saudite applichino regolarmente leggi drastiche per reprimere il dissenso all’ìnterno del paese e in passato hanno anche arrestato dissidenti all’estero.
Per Amnesty la sparizione forzata e il sospetto assassinio di un loro connazionale, che aveva cercato asilo all’estero, dovrebbe far suonare un campanello d’allarme.
“Evidentemente le autorità saudite sono disposte persino a bypassare le loro già carenti procedure giudiziarie pur di punire chi osa criticarle in modo pacifico” ha aggiunto Maalouf.

Le preoccupazioni di Amnesty sono condivisibili come l’appello alla comunità internazionale a non restare silente nei confronti della repressione della libertà d’espressione in Arabia Saudita. Per gli attivisti bisogna pretendere immediate spiegazioni dalle autorità saudite su cosa è accaduto a Jamal Khashoggi.
E’ evidente che, se le notizie risulteranno vere, dovrà essere avviata subito un’indagine indipendente e i responsabili, a prescindere dal loro rango, dovranno essere portati di fronte alla giustizia.
“Le autorità turche devono rendere urgentemente note tutte le conclusioni delle loro indagini per fornire chiarimenti alla famiglia di Jamal Khashoggi e contribuire alla ricerca della giustizia” le conclusioni di Amnesty.
Khashoggi, che da qualche anno viveva in auto-esilio negli Stati Uniti dove scriveva per il Washington Post, era in Turchia per sposarsi con la sua compagna, una donna turca di nome Hatice Cengiz. Il 2 ottobre era andato in Ambasciata per delle adempienze burocratiche. Ma da lì non ne è mai uscito. Di certo non vivo.


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