I contributi pubblici, infatti, sono in picchiata proprio da quella giornata torinese. In edicola non esiste più nessun quotidiano di partito e le inchieste penali riguardano ormai vicende di tanti anni fa.
TUTTO IL SISTEMA della carta stampata soffre. Conta sempre meno anche se non pochissimo come si vuole far credere: quasi 4 miliardi di euro di fatturato l’anno (fonte Agcom), decine di migliaia di edicole e 40 milioni di italiani che leggono notizie su carta o digitale tra quotidiani e periodici (fonte Audipress 2018/II).
Dal 2009 al 2017 i contributi diretti alla stampa sono diminuiti del 76%. Sono solo 6 su 63 quotidiani certificati Ads a riceverli
Questo universo è sempre più interdipendente nella parte industriale ma sempre più oligopolista in quella strettamente editoriale.
Il gruppo Gedi è sulla soglia antitrust della tiratura nazionale mentre nelle edicole di molte città si trovano giornali di un unico editore.
LA MOZIONE di maggioranza sul Def sul «graduale azzeramento» del fondo per il pluralismo apre dunque un solco il cui significato politico è evidente: i giornali, tutti, sono i nemici del governo e dunque del popolo (proprio come per Trump). Si vedrà poi nel successivo lavoro parlamentare chi, dove e cosa cadrà sotto la ghigliottina. Bene perciò che le opposizioni si allarmino, perché l’informazione riguarda tutto il parlamento, non certo il governo di turno.
IL MANIFESTO, AD ESEMPIO, è nato nel 1971 prima dei contributi pubblici. Ha vissuto onestamente sia con, che senza. Siamo una cooperativa pura, e di certo non siamo mai stati a libro paga di nessun governo, padrone o partito. Non è (solo) di noi però che si parla, come dimostra la diversità (il pluralismo) delle pochissime testate che oggi ricevono i contributi diretti. Attualmente sono 48 in tutto e tra queste sono solo 6 quelle più grandi (sulle 63certificate Ads).
Giornali diversissimi tra loro: Avvenire, Libero, il manifesto, Italia Oggi, il Quotidiano del sud e il Quotidiano di Sicilia. Simpatici o antipatici che siano, è difficile definirli giornali accondiscendenti con Lega e 5 Stelle. Perciò si deve dedurre che il governo vuole colpire proprio le voci lontane. Prima quelle più deboli, poi le altre. La Lega peraltro già lo fa sul territorio, impedendo l’arrivo di Avvenire e manifesto perfino nelle biblioteche comunali (accade a Monfalcone).
NEL CAOS DELLA PROPAGANDA è bene ricordarlo: il fondo pubblico che il parlamento vuole «gradualmente azzerare» finanzia solo i giornali di cooperativa, quelli senza fini di lucro, delle associazioni dei consumatori, delle minoranze linguistiche e per i non vedenti. Di Maio, ad ogni buon conto, ha esplicitamente escluso dalla mozione parlamentare l’altra parte del fondo, quella di competenza del suo ministero dello Sviluppo, che l’anno scorso ha destinato 67,8 milioni alle radio e tv locali, evidentemente più utili a Lega e 5 Stelle.
Un paio di numeri
Nella serie di audizioni alla Camera sui propositi del governo, il sottosegretario all’editoria Vito Crimi ha più volte riconosciuto che «i “fasti” del passato sono ormai un mero ricordo, anche grazie all’azione moralizzatrice del M5s». Come dargli torto: centinaia di milioni in meno a tutto il settore e «criteri più rigidi e trasparenti» (Crimi dixit). Una buona riforma, quella varata dal predecessore Luca Lotti nel 2016, con parti importanti ancora da attuare: contributo a carico delle concessionarie di pubblicità, fondo per le startup, riforma della professione giornalistica. Purtroppo al richiamo della propaganda è difficile sfuggire quando i consensi calano.
95.000.000
Le copie annue vendute da giornali e periodici che usufruiscono dei contributi diretti. Sono circa l’8% del totale italiano.
Fonte: sen. Vito Crimi, audizione in commissione Cultura alla Camera del 26 luglio 2018 sulla base delle dichiarazioni certificate dalle società di revisione
1.600
I giornalisti e i poligrafici regolarmente assunti a tempo indeterminato e retribuiti sulla base dei rispettivi contratti collettivi nazionali impiegati dalle testate che usufruiscono dei contributi diretti.
Fonte: sen. Vito Crimi, audizione in commissione Cultura alla Camera del 26 luglio 2018
Articolo scritto per il Manifesto https://ilmanifesto.it/