La prossima inaugurazione scaligera interrompe la recente usanza introdotta da Riccardo Chailly di aprire la stagione con un’opera rappresentata per la prima volta nel teatro meneghino, come era accaduto nelle ultime tre serate di Sant’Ambrogio con Giovanna d’Arco, Madama Butterfly e Andrea Chénier. Attila infatti fu presentata per la prima volta alla Fenice di Venezia il 17 marzo 1846 e alla Scala ci arrivò solo il successivo 26 dicembre in una versione che Verdi volle rivedere con il librettista Piave, perché quella scritta da Solera per la prima veneziana non aveva riscosso troppo successo. Sia la prima veneziana che la successiva ripresa scaligera avevano visto nel ruolo protagonista il basso Ignazio Marini che sette anni prima era stato il primo interprete, e proprio alla Scala, della prima opera in assoluto di Giuseppe Verdi, Oberto Conte di San Bonifacio.
Sempre scorrendo le locandine dell’epoca, notiamo che il ruolo di Odabella fu sostenuto a Venezia dal soprano tedesco Sophie Lowe, già prima Elvira di Ernani, e che alla Scala le subentrò la romagnola Eugenia Tadolini, la preferita, si diceva, di Donizetti, e che il tenore Napoleone Moriani prese il posto del più noto Carlo Guasco.
Il prossimo 7 dicembre il protagonista sarà il russo Ildar Abdrazakov, già apprezzato alla Scala nel recente Ernani e intorno a lui ci saranno il debuttante soprano spagnolo Saioa Hernandez, molto lodata nella Gioconda di Piacenza, il baritono romeno George Petean ed il tenore Fabio Sartori per la regia di Davide Livermore. Rispondendo ad Alberto Mattioli sul perché inaugurare con Attila, Riccardo Chailly ha dichiarato a La Stampa: “perché è una grande opera che desideravo affrontare da molti anni. Ho già diretto alla Scala Giovanna d’Arco, diciamo che sono due tasselli di un progetto importante sul giovane Verdi. Il cast che abbiamo è prestigioso, con voci adatte, quindi perché no?”. Detto questo, che opera è Attila, potrebbe chiedersi qualcuno, visto che si tratta di una tra le opere meno note di Verdi ?
Attila fa parte delle opere dei cosiddetti “anni di galera” e si colloca in cronologia tra la mediocre Alzira e la versione inziale di Macbeth, e racconta una vicenda abbastanza “ingarbugliata” di amori, tradimenti e vendette che si consumano tra i quattro protagonisti, all’epoca, come si può intuire, dell’invasione degli unni. Dopo avere dedicato un’opera a un tenore (Ernani), una a un baritono (I due Foscari) e due a un soprano (Giovanna d’Arco e Alzira), Verdi questa volta scrisse la parte del titolo per la voce di un basso al quale riservò alcune delle pagine musicalmente più ispirate dell’opera, come il duetto del prologo con Enzo (Tardo per gli anni e tremulo), la grande scena del 1° atto (Mentre gonfiarsi l’anima) ed il bellissimo concertato finale a più voci (Non involarti, seguimi). Forse anche per questo motivo Attila, a differenza di altri suoi lavori di gioventù, non ha mai scatenato particolari entusiasmi, neppure negli anni che videro un recupero massiccio dell’integrale verdiana, e infatti non sono molte le esecuzioni o le incisioni in disco degne di menzione.
Dopo una pionieristica esecuzione RAI diretta da Giulini nel lontano 1951, la prima ripresa significativa di Attila si deve al giovane Riccardo Muti che ne diresse due importanti edizioni, nel 1970 ancora per la RAI, e nel 1972 a Firenze, con i due più accreditati bassi dell’epoca, Ruggero Raimondi e Nicolai Ghiarov.
Riccardo Muti ha sempre mostrato di amare molto quest’opera tanto da riproporla alla Scala nell’edizione del 1989, che verrà anche incisa dalla EMI, con il basso americano Samuel Ramey, e sarà sempre con Attila che farà il suo tardivo debutto, nel 2010, al Teatro Metropolitan di New York. A riportare però Attila alla Scala ci aveva pensato prima di Muti il compianto Giuseppe Patanè, che nel 1975 diresse un’edizione con le tre grandi voci maschili di allora che già si erano distinte nelle memorabili esecuzioni verdiane di Simon Boccanegra e Macbeth, e parlo di Nicolai Ghiaurov, Piero Cappuccilli, e Veriano Luchetti.
Un altro grande direttore a farsi attrarre da Attila fu Giuseppe Sinopoli che la propose nel dicembre del 1980 alla prestigiosa Staatsoper di Vienna e ancora con Ghiaurov e Cappuccilli.
Dopo Muti l’opera è tornata alla Scala nel 2011 in un’edizione diretta da Nicola Luisotti, regia di Gabriele Lavia, protagonista Michele Pertusi, con Leo Nucci e il tenore ingaggiato per l’imminente prima, Fabio Sartori.
La prima edizione discografica di rilievo fu invece quella messa in commercio nel 1972 dalla Philips, a quei tempi intenta ad incidere l’integrale verdiana con il maestro Lamberto Gardelli, e che tuttavia non appartiene al novero delle cose meglio riuscite di quel catalogo, nonostante lo strepitoso Foresto del tenore Carlo Bergonzi. Ma da allora non è più stato pubblicato nulla di migliore, anzi lo stesso Gardelli farà peggio nella seconda incisione di 14 anni dopo per la Hungaroton e nella stessa edizione Emi diretta da Muti i risultati ottenuti da Samuel Ramey, che aveva debuttato nel ruolo alla Fenice di Venezia nel 1987 per la stagione del bicentenario sotto la direzione di Gabriele Ferro, non sono parsi all’altezza del suo superlativo Rossini.
Personalmente vidi nel 1984 a Bologna una discreta ma non memorabile edizione diretta da Carlo Franci con protagonista Ruggero Raimondi e un cast formato da Mara Zampieri, Silvano Carroli e Veriano Luchetti, questi ultimi due presenti anche l’anno prima a Torino in un’esecuzione diretta da Nello Santi che si segnalò per la buona prestazione del soprano veneto Maria Chiara, la quale nel 1985 si ripeterà all’Arena di Verona, in un’edizione di cui esiste il video. Ma in entrambi i casi il basso protagonista, Ghiuselev nel primo e Nesterenko nel secondo, non si rivelarono troppo all’altezza della situazione, e Attila è opera in cui la resa del basso scritturato conta molto, per non dire moltissimo. Non a caso è una delle opera del giovane Verdi meno frequentata dalle grandi primedonne dell’età aurea, eccezion fatta che per la presenza di Leyla Gencer all’edizione fiorentina del 1972 con Muti, anche se Joan Sutherland e Montserrat Caballé ci hanno lasciato in recital due autentiche meraviglie: l’australiana dell’entrata del prologo (Santo di patria), e la catalana della romanza del primo atto (O del fulgente nuvolo).
Tutta diversa per stile vocale la veemente esecuzione dell’entrata di Odabella proposta da Ghena Dimitrova al Liceu di Barcellona nel 1984, oggi recuperabile in video via web, ma che non deve fornire un confronto per sostenere l’inadeguatezza verdiana delle altre due. Verdi, come si è detto, fece sostenere il ruolo di Odabella a due soprani che, si legge, avevano in repertorio opere di puro belcanto, come Linda di Chamounix di Donizetti (Lowe) e Armida di Rossini (Tadolini), e che pertanto è presumibile vantassero uno stile di canto più assimilabile a quello di una Sutherland o di una Caballé.
Venendo al prossimo cast di Sant’Ambrogio leggo che dopo la già citata Gioconda, la 39enne Saioa Hernández ha dichiarato che l’anno prossimo debutterà in Andrea Chénier, Forza del destino, Nabucco e Macbeth, ruoli vocalmente molto “pesanti” e che definire di ardua difficoltà rappresenta puro eufemismo. Quanto al basso protagonista Ildar Abdrazakov dopo un notevole successo riscosso al Metropolitan nel ruolo di Enrico VIII in Anna Bolena di Donizetti, ha già cantato Attila all’Opera di Montecarlo ed è stato Banco nel Macbeth in forma di concerto diretto da Muti a Stoccolma. Anche il baritono Petean e il tenore Sartori hanno già cantato Attila, il primo a Vienna cinque anni fa e il secondo, come si è già detto, proprio alla Scala.
Tre anni fa con Giovanna d’Arco la scommessa fu vinta, anche grazie all’indubbio carisma sia vocale che scenico della protagonista, per cui non ci resta che attendere e sperare.