Pd, manovra scritta sulla sabbia. Tria attacca Ufficio parlamentare di Bilancio e analisti internazionali. Aiuto dei dirigenti di aziende pubbliche convocati da Conte. Lasciate stare Keynes
L’armata Brancaleone a fronte della compagine governativa, Conte, Salvini, Di Maio, Tria, Savona, sembra un generale della riserva, diventa una eccellenza. Parlare di dilettanti allo sbaraglio è già un onore per costoro. Parlar male di loro è come sparare sulla Croce Rossa. Anche oggi è stata una giornata nera, Piazza Affari chiude a -1,71, così le altre Borse europee, lo spread galleggia poi si stabilizza a quota 296. Non resta che sperare che qualcuno, lassù, dalle parti di un Colle caro ai romani, li fermi. E che le opposizioni si facciano sentire nel Parlamento e nel Paese. In due giorni i gialloverdi ne hanno combinate di tutti i colori, tanto che è dubbio che nei cinque giorni che hanno a disposizione siano in grado di confezionare la legge di Bilancio che deve essere presentata. Scadono i termini ed ancora i numeri ballano. Il ministro Tria piagnucola. Deve tornare in Parlamento per rispondere alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato riunite di nuovo dopo la bocciatura della nota di aggiustamento al Def da parte dell’Ufficio parlamentare di Bilancio. Ce l’ha con Bankitalia, Corte dei Conti, perfino l’Istat che hanno criticato, meglio strapazzato, la relazione di Tria. Dal Fondo monetario hanno delineato un futuro certo non roseo annunciando che la nostra crescita sta diventando una decrescita. E Tria che non sa più che fare dopo aver accettato, fatto proprio, poi addirittura esaltato, il fatto che il numero magico, il rapporto deficit Pil da lui contrattato con i commissari Ue, l’1,6% con possibilità di arrivare a 1,8% venisse portato al 2,4% come hanno voluto i due vicepremier che avevano da spartirsi gli euro per tener fede alle promesse elettorali. Tanto a me tanto a te. E il Tria, invece di non farsi mettere i piedi in testa ha belato dicendo che l’errore commesso da coloro che hanno bocciato la Nota di aggiustamento al Def “sta nella scelta di guardare alle previsioni degli analisti e delle istituzioni internazionali piuttosto che al cantiere del Governo. E dato che le previsioni”, sostiene il ministro dell’Economia, si basano su informazioni “parziali od obsolete”, la bocciatura della Nota di aggiornamento al Def da parte dell’Ufficio parlamentare di Bilancio – dice Tria – “risulta di fatto infondata”. Al massimo uno stimolo per l’esecutivo. Ma basta un episodio per far capire che le istituzioni internazionali non c’entrano niente, un tempo che fu agli italiani veniva intimato: “attenti il nemico vi ascolta”, ma il nemico lo hai in casa.
Salvini e Tria, comica finale sulla spartizione dei soldi che non ci sono
Il ministro ai parlamentari delle Commissioni Bilancio, illustrando di nuovo la manovra del governo, diceva che ammonta a 36,7 miliardi dei quali 22 finanziati con l’aumento del deficit e 15 miliardi finanziati in parte con tagli di spesa (6,9 mld) e in parte con aumenti di entrate (8,1 mld). Diceva che per la Flat Tax, voluta dalla Lega si prevedevano 600 milioni per il 2019, 1,8 miliardi nel 2020 e 2,3 nel 2021. Il costo del reddito di cittadinanza, voluto da Di Maio, e le modifiche della Fornero è pari a 16 mld in ciascuno dei tre anni. Apriti cielo, chiuditi terra. Il capo leghista, come morso da una tarantola, scattava: “Non è vero, non è vero”, affermava partecipando ad una manifestazione della polizia. “No, sono di più di 600 milioni, sono 1,7 miliardi, la riduzione fiscale ha un ammontare stimabile di circa 1,7 miliardi”. Informato, Tria concordava con Salvini un comunicato in cui si parla appunto, di 1,7 miliardi. E tornava la pace in famiglia ma c’è il trucco. Lo svela una fonte di governo a Huffpost. “La valutazione di Tria è corretta perché il costo per lo Stato sarà pari a soli 600 milioni nel 2019 dato che la flat tax relativa al prossimo anno si verserà solo nel 2020”. E questa sarebbe la rivoluzione fiscale?
Misiani (Pd). Le risposte di Tria deboli ed evasive. La manovra non sta in piedi
AL termine della riunione delle Commissioni Bilancio numerose dichiarazioni fra cui quella dell’on Misiani, parlamentare del Pd. “Le risposte del ministro Tria alla bocciatura del Def da parte dell’ufficio parlamentare di bilancio e ai rilievi critici di Banca d’Italia, ISTAT e Corte dei conti sono state deboli ed evasive. La realtà è che la manovra non sta in piedi, è scritta sulla sabbia e indebolisce la credibilità del nostro Paese verso i risparmiatori. Andare allo scontro contro tutti, come stanno facendo Salvini e Di Maio, è un grave errore. Delegittimare le autorità indipendenti, a partire dall’UPB, è inaccettabile. Al governo chiediamo di cambiare la manovra, di seguire un percorso meno azzardato e più coerente con una gestione equilibrata dei soldi dei contribuenti. Lo ha detto persino il ministro Savona, lo facciano al più presto, prima che la situazione vada definitivamente fuori controllo”.
Fassina sorprende: “Solide risposte di Tria ai rilievi dell’Upb”. Leu la pensa così?
Di tutt’altro tono la dichiarazione di Stefano Fassina (Leu) non in sintonia con il gruppo di cui fa parte. Anche in altre dichiarazioni rilasciate sulla manovra del governo aveva già espresso valutazioni positive richiamando Keynes, come più volte ha fatto anche il ministro Savona. Fassina afferma: “Solide le risposte del ministro Tria ai rilievi dell’ufficio parlamentare di bilancio per motivare la conferma delle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica della Nota di aggiornamento al Def. Mentre è molto preoccupante la dimensione degli interventi previsti per coprire le misure da introdurre: per il 2019, 6,9 miliardi di tagli di spesa corrente, inclusa spesa sociale; 8,1 miliardi di maggiori entrate. È evidente che tali interventi daranno il segno sociale della manovra: fare il gioco delle tre carte è pericoloso anche sul piano macroeconomico e di finanza pubblica. È decisivo conoscere i contenuti del decreto fiscale e del disegno di legge di Bilancio per una valutazione compiuta”.
Pennacchi (economista). Lasciate stare Keynes e i Keynesiani
Il richiamo a Keynes era comparso in questi giorni anche in talune dichiarazioni di economisti, oltre a Savona. Una risposta, molto chiara, a queste chiamiamole “illazioni” è stata data da Laura Pennacchi con un articolo pubblicato sul Manifesto. Parla di “un forte squilibrio che trapela dalla manovra in favore della spesa corrente e a danno della spesa in conto capitale e per gli investimenti, squilibrio risultante dalla somma dei trasferimenti monetari (in cui si traducono la falsa quota 100 per le pensioni e il cosiddetto reddito di cittadinanza) e delle numerose riduzioni fiscali, tra cui l’embrione di flat tax, le quali costituiscono spesa corrente indiretta”. Prosegue Pennacchi: “Tale squilibrio mostra un’assonanza non con Keynes – come pretenderebbe il ministro Savona – ma con Reagan. Non siamo, infatti, di fronte alla concentrazione di risorse nella creazione diretta di lavoro e negli investimenti produttivi – questi sì finanziabili anche in deficit – che Keynes e i keynesiani come Hansen, Meade, Minsky auspicavano per affermare la piena e buona occupazione, in quanto rimedio alla tendenza strutturale del capitalismo al sottoutilizzo dei fattori fondamentali della produzione, lavoro e capitale.
Tornano in campo posizioni tanto care a Reagan e Bush
Siamo invece di fronte alla riproposizione di forme di supply side economics, tanto cara a Reagan e a Bush, in cui è del tutto rimossa la necessità di fare i conti con i problemi strutturali del paese, compresa la sua bassa propensione a creare lavoro, perché ciò a cui ci si affida è spesa corrente, per di più finanziata in deficit, consistente in benefici fiscali e trasferimenti monetari – quale è anche il reddito di cittadinanza – tali da non scalfire il dogma dell’autoregolazione del mercato”. Prosegue Pennacchi: “Con lo Stato usato solo come Pantalone e non come soggetto strategicamente innovatore, in uno spirito sostanzialmente a favore di un mondo autonomo minuto (con la grande impresa, gli investimenti in ricerca e innovazione, la scuola e l’Università del tutto trascurati), affidando il rilancio dello sviluppo prevalentemente al Nord e lasciando ulteriormente ai margini il Mezzogiorno per il quale è sparita la riserva di investimento del 34%, compensato con elargizioni assistenzialistiche”.
Cabine di regia, vertici o cenette in famiglia. Il gusto dell’orrido
Questo il racconto di una giornata in cui il credito, ammesso che questo governo ne avesse, precipita verso il basso. Addirittura, il presidente del Consiglio convoca i dirigenti delle aziende pubbliche: aiutateci, investite di più. Non era mai accaduta una cosa del genere. Ma nell’era del governo gialloverde dobbiamo assistere anche a questo. Non a caso la questione “nomine” è uno dei cardini della politica di spartizione praticata da leghisti e pentastellati. Risulta che i dirigenti delle aziende di Stato abbiano assicurato Conte sul loro aiuto. Gravissimo. Investimenti a richiesta dei governanti. Peggio di così la giornata non poteva finire. Anzi non è ancora finita perché è stata annunciata una “cabina di regia” con Conte e i ministri interessati. Qualcuno ne parla come di “cenette in famiglia”. Il gusto dell’orrido.