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Il Brasile scivola verso l’estrema destra

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Adesso il rammarico supera la speranza in quell’abbondante metà del Brasile che ha votato contro Jair Bolsonaro, l’ex militare di estrema destra che domenica scorsa, al primo turno delle elezioni presidenziali, ha raccolto il 46,2 per cento dei voti (oltre 40 milioni) intravvedendo per un momento la maggioranza assoluta e comunque superando al galoppo ogni previsione della vigilia. Con un 29,28 per cento, il suo maggiore contendente, Fernando Haddad, candidato del Partito dei Lavoratori (PT) ed erede dell’ex presidente Lula ormai in carcere, dovrà compiere salti mortali per riunire la maggioranza necessaria a sconfiggerlo nella prevista seconda tornata elettorale, tra due settimane.

Sebbene il suo candidato sia stato largamente distanziato nella corsa al Palacio do Planalto e abbia perduto una mezza dozzina di parlamentari, il Partito dei Lavoratori, il PT di Lula, resta il gruppo più numeroso al Congresso di Brasilia (56 deputati e una cospicua pattuglia di senatori). La sua base ha tenuto. Non tutto è perduto, commentano nel partito socialdemocratico di Fernando Henrique Cardoso, l’ex capo di stato considerato il restauratore della democrazia brasiliana dopo i vent’anni di dittatura militare (1964-1983). I loro deputati sono stati quasi dimezzati dalle urne (da 49 a 29). E in campagna elettorale lo stesso FHC, come lo chiamano, ha bruciato parte del suo prestigio in un atteggiamento attendista che l’elettorato ha considerato ambiguo.

All’esterno delle influenze petiste, egli resta tuttavia l’architetto maggiore d’un accordo capace di riunire attorno ad Haddad l’alleanza necessaria a fermare Bolsonaro. Un’impresa che si presenta comunque a dir poco impervia, per l’enormità del successo ottenuto dall’ex capitano che al sostegno degli interessi più conservatori e a quello di buona parte delle chiese evangeliche è riuscito ad aggiungere una quota importante dell’elettorato popolare meno politicizzato. Ed anche per la frammentazione del sistema partitico (sono ben 30 le diverse formazioni presenti in Parlamento) e la sua  eterogeneità, tutt’altro che facile da ridurre fino a compatibilizzarla in un sostegno sufficientemente ampio e convinto ad Haddad.

Richiederà la massima perizia disinnescare risentimenti e diffidenze suscitati dagli scontri di questi ultimi anni ed esasperati ulteriormente dalla campagna elettorale, anche tra le forze democratiche e progressiste. Eppure qualora l’impresa andasse a buon fine, la somma dei loro elettori non è certo che riesca a sconfiggere Bolsonaro. Non mancano pertanto quanti ritengono necessario costringerlo a dibattere pubblicamente le promesse da lui spese a piene mani, fino a renderne evidenti le contraddizioni. Dalla riforma delle pensioni, all’abolizione della tredicesima mensilità per tutti i lavoratori dipendenti pubblici e privati, al rilancio dei consumi e dell’occupazione. Ed erodere così il suo stesso elettorato.

I risultati di questa prima consultazione hanno però evidenziato in una parte rilevantissima degli oltre 200 milioni di brasiliani (tre quarti dei quali con diritto di voto), lacerazioni che sono culturali ancor prima che politiche. Non c’è semplicemente il distacco dai partiti in crisi di credibilità a favore del demagogo vissuto come demiurgo. Ci sono disincanto e disinteresse per valori fondanti di una democrazia partecipata e dei diritti, quali il rifiuto d’ogni violenza, a cominciare da quella delle istituzioni, il rispetto delle minoranze, la solidarietà. Quale che sia l’esito della seconda tornata elettorale, il lavoro di consolidamento e restauro della Repubblica brasiliana risulterà assai lungo e cosparso di pericoli.


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