Venticinque anni senza il genio onirico di Federico Fellini, venticinque anni senza la sua passione civile e il suo amore per il circo, venticinque anni di sofferenza per un cinema che ha prodotto molti capolavori ma, nel frattempo, sembra aver smarrito una parte della sua anima, venticinque anni senza un sognatore capace di portare sul grande schermo la propria sfrenata immaginazione.
Fellini, classe 1920, cresciuto in pieno fascismo, al punto che sosteneva che se la sua generazione non era venuta su completamente imbecille era stato un miracolo.
Fellini e le notti incredibili nella natia Rimini, quando trasformava i quattro angoli del letto nei quattro cinema della città e attribuiva loro i nomi dei medesimi, dando poi il via a uno spettacolo senza eguali, alla base di buona parte delle intuizioni che lo hanno reso un gigante del cinema mondiale.
Fellini e la purezza di “Amarcord”, il riso amaro e malinconico di “8 e 1/2”, la gioia di vivere mista a preoccupazione de “I vitelloni” e ancora “Ginger e Fred”, “E la nave va”, “Le notti di Cabiria”, in una produzione che ha rivoluzionato il nostro immaginario collettivo e reso ogni sua opera un concentrato di speranze destinate a cambiarci e renderci migliori.
Ricordo ancora, in una sorta di Amarcord personale, quella mattina di fine dicembre in cui, a margine di un’iniziativa elettorale organizzata da Vincenzo Vita, Ettore Scola e Sergio Zavoli ne parlavano seduti in un cinema d’essai a Trastevere e io li ascoltavo colmo d’incanto, di immaginazione, di bellezza, come se Fellini fosse lì con noi e potesse sentirci, e riviveva nelle loro parole e avevo l’impressione di essergli stato amico anch’io ed era ancora in grado di ispirarci alla grande, pure in questa triste stagione in cui la fantasia sembra essere venuta meno.
Aveva settantatre anni quando ci ha detto addio, dopo aver detto che la vita, in fondo, significa innamorarsi ancora una volta. E lui lo ha fatto: ha vissuto, ha amato, ha sognato intensamente, ha saputo dire la verità senza far piangere nessuno, proprio come Guido, l’autista di “8 e 1/2” e infine ci ha fatto piangere a dirotto, quando ci siamo dovuti arrendere all’evidenza della sua scomparsa.
Eppure non è stato un addio, al massimo un distacco. Federico rivive nei nostri sogni inconfessabili, ogni volta che passeggiamo lungo le spiagge romagnole, quando sentiamo i profumi e viviamo le atmosfere di una terra che, tutto sommato, non ha smarrito la sua antica meraviglia.
Federico rivive nelle nostre speranze, nel nostro coraggio di essere folli, nel distacco dalle cose terrene, nell’immersione in altri mondi, in altri orizzonti, in una realtà parallela che non esiste ma è più che mai presente nei nostri giorni e nel nostro faticoso andare.
Federico vive perché non può morire, al pari della sua arte e della sua grandezza. E i suoi sogni diventano i nostri film, ciò che ci tiene aggrappati alla vita e al suo limpido incanto.
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