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E’ morto Charles Aznavour. Il “Pierrot moderno”

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Il cantante francese di origini armene (il suo vero nome è Shahnour Vaghinagh Aznavourian), l’ultimo degli chansonnier è morto stamani dopo breve malattia: aveva 94 anni.
Scoperto da Edith Piaf, che lo portò in tournée in Francia e negli Stati Uniti, si mise in luce nel dopoguerra come cantautore. Ottenendo, nel 1956, la sua prima affermazione internazionale con l’indimenticabile “Sur ma vie”successo che gli permise di entrare nella storia come monumento della canzone francese.
Il fatto che cantasse in sette lingue gli consentì poi di esibirsi in tutto il mondo divenendo ovunque famosissimo.
Artista eclettico, sensibile, a tutto tondo, Charles Aznavour è stato appassionatamente “immerso”  nelle molteplici realtà dello spettacolo: dalla musica al canto, dal cinema al teatro.
Attore e cantautore parigino estremamente apprezzato in Canada, figlio di un cuoco armeno, dopo l’Accademia d’arte drammatica, debutta a teatro come attore di prosa. Contemporaneamente però, cresce in lui la passione per la canzone melodica e già nel dopoguerra comincia a farsi riconoscere come cantantautore di canzoni soavi e armoniose.
Il successo all’Olympia di Parigi (a metà degli anni cinquanta) gli permetterà di entrare nella storia degli chansonnier francesi. Il genere melodico con i suoi testi malinconici, che alternano le gioie dell’innamoramento alla tristezza che permea la fine di una relazione caratterizzeranno non solo la sua musica, ma perfino i suoi personaggi cinematografici.
E proprio sul grande schermo debutta nel 1936, nel film di Jacques Daroy “La guerre des gosses”, seguito da una piccola parte ne “Gli scomparsi di Saint Agil” (1938) di Christian-Jaque. In seguito lavora come autore di colonne sonore e ritorna all’interpretazione solo nel 1956, ma sono film mediocri. La prima parte di rilievo è nel 1958, dove interpreta il pazzo de “La fossa dei disperati” (1960) di Georges Franju, film che apre la strada alla nouvelle vague. L’interpretazione di un epilettico ricoverato in un manicomio, accanto a Anouk Aimée, è intensa. Nel 1960, il genio di François Truffaut lo vuole come protagonista  in “Tirate sul pianista”, dove interpreta (magistralmente) un inquieto solista dalla doppia vita.
Nello stesso anno, gli viene data l’occasione di mettere sotto la luce dei riflettori le sue qualità drammatiche che ben si esprimeranno in “Un taxi per Tobruk” di Denis de La Patellière e “Il passaggio del Reno” di André Cayatte, vincitore di un discusso Leone d’Oro a Venezia.
I suoi ruoli sono un mix di eleganza e malinconia, di astuzia e seduzione. La risposta francese a Spencer Tracy e cinematograficamente rivale di Jean Gabin, è stato definito “un Pierrot moderno” da Autant-Lara, anche se nella sua filmografia non sono presenti molti nomi di grandi registi, ma solo i titoli di alcuni dei film più commerciali della Francia anni 50-60. Unici fiori all’occhiello: “Il testamento di Orfeo” (1960) di Jean Cocteau e “Candy e il suo pazzo mondo” (1968) di Christian Marquand.
Nel 1974, salpa per l’America con “…E poi non ne rimase nessuno” Orson Welles, Richard Attenborough e Oliver Reed, trasposizione cinematografica del giallo di Agatha Christie “Dieci piccoli indiani”, cui seguirà “Gli uomini falco” (1976) di Douglas Hickox. Mentre, alla fine degli anni Settanta, è un venditore di giocattoli accanto a Mario Adorf ne “Il tamburo di latta” (1979) di Volker Schlöndorff.

La Francia lo reclama e Claude Chabrol gli offre il ruolo del protagonista in “I fantasmi del cappellaio” (1982). Da quel momento in poi, gli impegni come attore diminuiranno e si accontenterà di ricoprire parti secondarie in film come “Qu’est-ce qui fait courir David?” (1982) di Elie Chouraquis, “Viva la vita” (1984) di Claude Lelouch con Charlotte Rampling e Michel Piccoli e “Il maestro” (1989) di Marion Hansel, con Malcolm McDowell. Nel cinema italiano vi entra grazie a Elio Petri che lo sceglie per l’episodio “Peccato nel pomeriggio” del film corale “Alta infedeltà” (1964).
Vincitore di un César onorario nel 1997, nel 2002 lo si ritrova in Ararat di Atom Egoyan accanto a Christopher Plummer, dove interpreta un regista armeno che rievoca la pulizia etnica effettuata dai turchi nei confronti del suo popolo. Sposato ben 5 volte, è padre delle attrici Patricia e Katia Aznavour (oltre che di altri 3 figli). Ispiratore, inoltre, del personaggio di Char Aznable in un anime del 1979 dal titolo “Kidô senshi Gandamu”, Charlez Aznavour rimane uno degli attori più apprezzati significativi e della ‘generazione’ francese anni Cinquanta-Sessanta.


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