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“Donne e Media nel Lazio. La rappresentazione femminile e le tv regionali”. La ricerca del Corecom Lazio

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Martedì mattina 23 ottobre 2018, a Roma, presso la Casa Internazionale delle Donne (“location” scelta naturalmente anche per la sua valenza simbolica ed iconica), è stata presentata un’interessante ricerca di approccio quali-quantitativo, “Donne e Media nel Lazio. La rappresentazione femminile e le tv regionali”, promossa dal Comitato Regionale per le Comunicazioni (Corecom) del Lazio, commissionata all’Osservatorio Interuniversitario studi di Genere (da cui l’acronimo “Gio”) e realizzata in collaborazione con il Consiglio Regionale del Lazio e l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Si tratta di una iniziativa fortemente voluta dal Presidente del Corecom Lazio, Michele Petrucci. Si ricordi che i Corecom sono organi previsti dalla “legge Maccanico” istitutiva dell’Agcom, disciplinati però specificamente da leggi delle singole Regioni con funzioni di organo di governo, garanzia e controllo sul sistema delle comunicazioni in ambito regionale. Nei confronti dell’Agcom, i Corecom rappresentano organi funzionali, mentre costituiscono organi indipendenti di garanzia e consulenza per le giunte e i consigli regionali.

Da ricercatori di professione, abbiamo apprezzato la serietà dell’approccio, anche se, dalla lettura attenta della sintesi distribuita ai partecipanti, emerge una qualche perplessità metodologica, ma attendiamo di leggere il rapporto finale di ricerca, che è ancora in fase di completamento.

Si è trattata di una lunga mattinata di impostazione seminariale: un indubbio contributo di conoscenza destinato a rientrare nelle bibliografie della letteratura scientifica in materia, che nel nostro Paese non brilla per sviluppo (basti pensare che l’ultima specifica rilevazione Istat in materia risale al 2013, con la ricerca “Stereotipi, rinunce e discriminazioni di genere”).

Il lavoro di ricerca da sviluppare è ancora tanto, ma ancor di più va fatto in termini di sensibilizzazione, coscientizzazione, divulgazione critica di queste tematiche. Ed ancora una volta il pensiero va alla Rai: se è vero che il servizio pubblico televisivo ha dedicato attenzione e risorse economiche allo studio della materia (l’ultima ricerca è “La rappresentazione femminile nella programmazione televisiva della Rai”, realizzata nel 2017 da Isimm e Roma Tre), va lamentato – anzi denunciato – che i risultati di queste ricerche non sono stati oggetto di adeguata disseminazione infra-aziendale, ed i risultati critici non ci sembra abbiano stimolato alcuna correzione di rotta da parte di Viale Mazzini. Spesso queste lodevoli iniziative rappresentano la foglia di fico per celare imbarazzanti nudità: riteniamo che la stessa Rai – per quanto più sensibile delle emittenti televisive commerciali – abbia una sua precisa, e grave, responsabilità nella riproposizione di modelli stereotipati di immagini femminili.

Lo studio ha inteso fornire uno spaccato della rappresentazione della donna nei media locali a partire da un’analisi in tre fasi (quali-quantitativa, descrittiva e formativa/informativa) dei contenuti dei programmi televisivi di intrattenimento, informazione e approfondimento.

Sono state prese in considerazioni su 748 trasmissioni di 12 emittenti locali nell’arco di due settimane (dal 11 al 25 gennaio 2018), dalle ore 8 alle 24. Queste le maggiori tv  laziali analizzate: Canale 10, Gold Tv, Rete Oro, Teleroma 56, Lazio Tv, Teleuniverso, TeleAmbiente, Teledonna, Retesole e 7 Gold Lazio.

Dai dati raccolti, emerge che se la presenza delle “conduttrici” (46 %) e dei “conduttori” (54 %) è abbastanza bilanciata, anche se risulta più iniqua se messa in relazione alla tipologia di programmi. Le conduttrici sono maggiormente presenti nei programmi di informazione (45 %), ma sono meno della metà dei conduttori nei programmi di approfondimento, con un 32 % di uomini che doppia il 15 % di donne. Molto presenti le donne alla voce “altro”, dove per “altro” si intendono televendite, cartomanzia, estrazioni del lotto, oroscopi, con un 24 % che supera di gran lunga la presenza maschile, ferma al 10 %.

All’interno dei programmi, le conduttrici rivestono un “ruolo attivo” nell’84 % dei casi, contro il 97 % degli uomini. Preoccupante il dato sul ruolo di “presenza muta” o di contorno all’interno dei programmi, con il 16 % di donne contro il 3 % degli uomini.

Per quanto riguarda la presenza di “ospiti” all’interno dei programmi, il numero di uomini (61 %) è nettamente maggiore a quello delle donne (39 %), maggiormente presenti nei programmi di intrattenimento seguiti da quelli di approfondimento (15 %), dove però la presenza maschile è il doppio di quella femminile (31 %), che invece vede una decisa prevalenza nelle attività di televendita, cartomanzia o gioco del lotto (46 % contro il 3 % degli uomini). Le ospiti svolgono un ruolo attivo inferiore a quello maschile (61 % di donne contro l’89 % di uomini) e costituisce più spesso una presenza “muta” o di “contorno” (il 39 % di donne contro l’11 % di uomini).

Rispetto alle modalità di ripresa, dalla ricerca emerge che donne e uomini sono equamente rappresentanti quando vengono inquadrati a “figura intera” o in “primo piano”, mentre i dati cambiano rispetto alle riprese su singole parti del corpo: il 14 % delle donne contro il 24 % degli uomini. Un dato solo apparentemente positivo, se si pensa che il 10 % delle riprese in posizione “supina” (!), a partire dalla “scollatura”, dal basso verso l’alto, riguardano esclusivamente le donne (su queste fenomenologie ha scritto belle pagine Lorella Zanardo nell’ormai classico “Il corpo delle donne”, Feltrinelli, 2010). Nel 58 % dei casi, le donne davanti alle telecamere indossano un “abito sobrio”, anche se è rispettivamente del 7 % e del 12 % la percentuale di presenze femminili “in biancheria intima” (!!!) ed “in abito succinto”.

Lo studio è stato sviluppato anche attraverso un sondaggio su un campione di 300 donne (21 % studentesse, 26 % lavoratrici, 9 % manager, 19 % docenti, 26 % casalinghe/disoccupate/pensionate) realizzato attraverso questionari suddivisi in cinque sezioni: “scelte professionali”, “pari opportunità”, “modelli/tradizioni/ruoli”, “media e linguaggi”, “normativa”.

Per la maggior parte delle intervistate (76 %), le pari opportunità tra uomini e donne sono ancora un problema attuale e poco più della metà (53 %) ritiene che uomini e donne, a parità di competenze, non abbiano medesime possibilità lavorative. Il 43 % ritiene che sia giusto che siano le donne a prendere congedi o a lasciare il lavoro per motivi di accadimento. Se per il 79 % delle intervistate i media hanno un ruolo importante nel trasmettere modelli di “uomini violenti” o di “donne succubi o provocanti”, il 49 % reputa però che i ruoli sessuali tradizionali vadano mantenuti per il buon funzionamento della famiglia e della società, ed il 40 % sostiene che le ragazze e le donne debbano comportarsi in modo da non provocare reazioni di violenza. Dati che mettono in evidenza una curiosa contraddizione o una mancanza di piena consapevolezza, se messi a confronto con il 69 % delle intervistate che dichiarano di non essere state condizionate nelle proprie scelte dal fatto di appartenere al genere femminile.

Il Presidente del Corecom Michele Petrucci ha annunciato che “questo studio verrà presentato in tutte le scuole del Lazio che lo vorranno… a partire dalla settimana prossima, cominceremo a presentarlo nei luoghi istituzionali e negli enti che ce lo chiederanno, perché il ruolo educativo, formativo e informativo dei media è fondamentale per fare in modo che le asimmetrie e le criticità vengano superateLa   rappresentazione equilibrata e corretta delle donne sulle tv e sui media regionali, continua ad essere  un obiettivo primario dell’azione del Corecom Lazio”.

La rappresentazione delle donne media locali è in linea con la rappresentazione nei media nazionali”, ha commentato Laura Moschini dell’Università Roma Tre (Coordinatrice del Gruppo di ricerca Gio): “c’è ancora un buon lavoro da fare, ci sono programmazioni che ripresentano modelli stereotipati di donna, ci sono moltissime pubblicità dei prodotti della casa, e tanta programmazione su cartomanzia e televendita, che toglie spazio ad un sano intrattenimento, all’approfondimento e all’informazione, soprattutto nelle fasce tradizionalmente utilizzate dalle donne per guardare la tv durante la giornata (non a caso questi programmi scompaiono durante la fascia notturna)”.

Sono intervenute al seminario varie personalità del mondo del giornalismo e delle istituzioni, tra cui: Francesca Koch (Presidente della Casa Internazionale delle Donne), Lorenza Bonaccorsi (Assessora al Turismo, Pari opportunità della Regione Lazio), Sabrina Alfonsi (Presidente Municipio I Roma Capitale), Eleonora Mattia e Marta Bonafoni (rispettivamente Presidente e Componente della IX Commissione-Lavoro, Formazione, Politiche Giovani, Pari Opportunità, Istruzione, Diritto allo Studio della Regione Lazio), Paola Spadari (Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio), Paola Di Nicola (magistrato e autrice del saggio “La mia parola contro la sua”, HarperCollins, 2018)…

Tra i presenti anche Lazzaro Pappagallo, Segretario dell’Associazione Stampa Romana (Asr), che nel giugno 2018 ha firmato con il Corecom del Lazio il “Protocollo d’Intesa Donne e Media”, per una corretta rappresentazione dell’universo femminile, nel tentativo di superare meccanismi mentali inveterati (a partire dall’uso di una terminologia banale e stereotipata).

Segnaliamo la netta presa di posizione di Paola Spadari: “oggi il Corecom Lazio diffonde dei dati su come le emittenti locali trattano il tema al femminile, dobbiamo denunciare che nel fondo dell’editoria sono stati tagliati in modo considerevole alcuni finanziamenti, si tratta di danari pubblici che colpiscono le testate più deboli, quelle spesso più sensibili rispetto alle esigenze di rispetto dell’immagine femminile che qui oggi invochiamo. Riteniamo che questo comporti una penalizzazione grave del pluralismo e delle voci sul territorio”.

Ivana Nasti, Direttrice del Servizio Ispettivo dell’Agcom, ha ricordato come esista anche una questione delicata qual è lo scontro inevitabile tra il diritto delle donne a rivendicare una rappresentazione equilibrata della propria dimensione esistenziale ed il desiderio delle stesse a fornire una immagine di sé che sia bella e seducente… Ma qui si aprirebbe un discorso complesso su come il capitalismo ha interesse a ri-proporre una certa immagine della donna, conformista e conservatrice, funzionale al mantenimento di logiche consumistiche (in una dinamica di mercificazione “pornografica”, qui intendendo pornografia in senso lato).

Paola Di Nicola ha sostenuto che “quando vediamo rappresentata la realtà della violenza, come nel caso del femminicidio, ci viene raccontata sempre come un fumetto rosa, come un romanzo della gelosia e del raptus di un uomo che per troppo amore non riesce a controllarsi. Non è affatto così. Il femminicidio non c’entra nulla con l’amore, e questa rappresentazione romantica che viene fornita dai giornali dimostra la non conoscenza del fenomeno della violenza di genere, e si riproduce all’interno delle aule di giustizia. Quelle argomentazioni e quella ricostruzione a cui ognuno di noi probabilmente vuole credere (perché è più semplice e più leggero ritenere che un uomo abbia ucciso per un raptus d’amore, piuttosto che per un rapporto di potere di cui tutti erano consapevoli) entra nelle aule di giustizia attraverso le parole dei testimoni, degli imputati e della stessa vittima (che si è cercato di dissuadere dall’entrare in quell’aula). Troppe volte noi giudici non crediamo fino in fondo a quelle parole, e questo è il dato che ci viene dalla Commissione Parlamentare di Inchiesta sul Femminicidio, che ci racconta che la metà delle denunce viene archiviata e la metà restante si chiude con un’assoluzione. Questo significa che anche la magistratura non è fino in fondo capace di cogliere il nesso che lega ciò che viene raccontato con il fenomeno criminale che deve essere giudicato…”. Ancora una volta, un problema di “rappresentazione” (stereotipata vs critica), ovvero di influenza della “narrazione” nei processi decisionali.

L’intervento più accurato (in termini sociologico-mediologici) ed alto (in termini accademico-teorici, con molte belle citazioni, da Franz Fanon passando per Edgar Lee Masters per arrivare Leonardo Sciascia) è stato senza dubbio quello del decano dell’università italiana in materia di studi sulla comunicazione, il professor Mario Morcellini, che è però inevitabilmente intervenuto anche nella sua veste di Commissario dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, alzando il tiro: “segnalo che la parità finora ottenuta, per quanto non soddisfacente, non è una conquista che può essere data per scontata… la parità può retrocedere, nel clima culturale dominante, anche a causa della polarizzazione determinata dal web… i maschi spiazzati si sfogano nella rete…”. Il problema, insomma, va oltre lo “specificum” del femminile, e riguarda molti aspetti del vivere psicosociale: pensiamo alle minoranze di ogni tipo, ma più in generale alla complessiva “Weltanschauung” (oggi si banalizzerebbe con “vision”). A come il sistema dei media la influenza, e talvolta la determina: “quanto grande è la responsabilità dei “talk-show” nella degenerazione della “politica” italiana?!”. Ed andrebbe indagato su quanto (e se) il web sta determinando nuove ondate di conformismo (nella forma contemporanea delle digitali “camere dell’eco”) piuttosto che estensione reale del pluralismo e della libertà di espressione. Ci si deve attrezzare con strumentazioni ben più evolute rispetto ad una mera meccanica misurazione quantitativa in ottica di “par condicio”…

Il problema è però ben più ampio, e va ben oltre lo specifico della parità e dell’immagine femminile, sostiene Morcellini: “la ricerca e l’accademia debbono guardare oltre, debbono riuscire a parlare con le periferie… finora hanno interloquito soprattutto con i soggetti istituzionali e determinanti lo status quo…”.

Come già in altre occasioni, l’anima sociologica di Morcellini ha superato il ruolo istituzionale di Commissario Agcom, ponendo delle vere e proprie provocazioni, intellettuali civili politiche, quasi a mo’ di attivista: “si debbono presidiare criticamente i luoghi del populismo… si debbono promuovere pratiche, non prediche…”. Morcellini ha invocato un ruolo della Rai come servizio pubblico, ma pensando ad una Rai strumento “di protezione della cultura pubblica”, nella attuale fase di deriva del discorso pubblico. Ha evidenziato quindi l’esigenza di visioni plurali, di interpretazioni differenziate ed eterodosse della realtà, ai limiti della “follia”: ha ricordato che “il pazzo rappresenta il porto franco della libertà”…

Non resta che augurarsi che questa sana iniezione di anticonformismo intellettuale e di impegno civile possa scuotere il… corpaccione dell’Agcom, che, fin dalla sua costituzione, non ha certo dato grande dimostrazione di voler navigare esattamente… contro corrente. I tempi cupi che dobbiamo affrontare richiedono invece un inedito coraggio. Ed anche – ci sia consentito di aggiungere – energia intensa ed interventi tempestivi.

* L’autore dell’articolo è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult

Clicca qui, per leggere la sintesi della ricerca Corecom “Donne e Media nel Lazio. La rappresentazione femminile e le tv regionali”, promossa dal Corecom del Lazio, curata dall’Osservatorio Interuniversitario studi di Genere (Gio), presentata a Roma il 23 ottobre 2018.


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