Diritto d’autore alla prova del “trilogo”

0 0

Se tutti i salmi finiscono in gloria, l’iter delle direttive europee finisce –invece- nel “trilogo”. Si tratta di una parola dalla fonetica non eccelsa, che sintetizza la triangolazione tra Commissione, Parlamento e Consiglio per facilitare una soluzione negoziata laddove le contese siano aspre o la materia abbia particolari asperità. La procedura venne formalizzata nel 2007 e torna in scena ora con la proposta “sul diritto d’autore nel mercato unico digitale”, respinta lo scorso 5 luglio dall’assemblea di Strasburgo e approvata poi il 12 settembre. Baruffe, liti, lobbismo esasperato hanno accompagnato l’iter di un testo in verità assai poco innovativo. E, tuttavia, simbolica zona di frontiera tra le giuste ma un po’ ingiallite rivendicazioni del mondo mediatico analogico e l’urlo digitale della rete dominata –però- dagli oligarchi dei dati come Google e Facebook piuttosto che dal genuino popolo di Internet. Uno scontro più da fine secolo che da nuovo millennio, segnato quest’ultimo dalla enorme potenza di calcolo delle piattaforme. Altre, dunque, sarebbero le priorità: trasparenza degli algoritmi, tutela delle persone via via trasformate in puri corpi naviganti, condivisione dei saperi, introduzione su scala allargata dei creative commons: ovvero la contrattualistica adatta all’universo multiforme, a-spaziale e a-temporale dei linguaggi di questa stagione cross-mediale.

Tant’è. La proposta di direttiva è ciò che passa il convento e chissà se arriverà alla conclusione del percorso entro la fine della legislatura. Non è per niente scontato: per la durezza del conflitto sotteso, che è una vera lotta di potere; e per converso per la fragilità dell’articolato, ben misera difesa nei confronti dello tsunami in corso.

Ed eccoci al “trilogo”. Si vorrebbe concludere il compromesso entro la fine di novembre. Un simile traguardo è reso accidentato dai punti sui quali vi è il dissenso. Tre articoli: il 4 sull’utilizzo delle opere nelle attività didattiche; e soprattutto l’11 che attiene al pagamento richiesto anche per i brevi sunti degli articoli lanciati dai motori di ricerca (snippet, nel gergo), e l’articolo 13 che, pur migliorato nell’ultima lettura, mantiene il germe e il rischio della censura preventiva. Ebbene, la riunione del gruppo interministeriale italiano preparatorio del “trilogo” , tenutasi venerdì scorso, è risultata inconcludente ed è riconvocata questa settimana. La bizzarria sta nel fatto che i due articoli critici -11 e 13- furono scritti proprio dalla componente nostrana sotto l’egida dei governi precedenti, mentre adesso la compagine di maggioranza ne chiede l’abrogazione o la profonda riscrittura. Del resto, l’opinione espressa solennemente dal vice-premier Di Maio è chiarissima: un no secco. Ovviamente, la grida del dirigente di 5Stelle va poi applicata nei testi concreti. Tra l’altro, senza una soluzione sui temi contestati, l’edificio comunitario sul copyright da che parte andrebbe?

Purtroppo, l’universo delle professioni e dei fruitori che fanno riferimento alle sinistre è diviso in due. Quanto sarebbe utile la ricerca di una posizione evolutiva e svincolata dall’odierno corpo a corpo. Ci si può ancora provare.

Certamente stupisce, però, che la nettezza del governo sul diritto d’autore non vi sia stata sulla coeva direttiva sui servizi audiovisivi (AVMSD), ormai passata, che fa un bel regalo alle televisioni commerciali sulla pubblicità. Misteriosa contraddizione di un approccio asimmetrico: continuando a tutelare le antiche logiche “duopolistiche”, il nuovo non nasce. E la discussione è ossessiva.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21