di Clemente Pistilli
Due milioni di metri quadrati di banchine, 28 attracchi operativi, 15 chilometri di accosti, 700 milioni di euro di investimenti previsti in tre anni dall’Autorità portuale, secondo scalo europeo per numero di passeggeri, primo per traffico crocieristico.
Pochi numeri che danno la dimensione dei ricchi affari legati al porto di Civitavecchia e che come sempre non mancano di attirare l’attenzione delle mafie. Il porto dell’antica Centumcellae, quasi 53 mila abitanti nel nord del Lazio, ha però anche un’altra fondamentale caratteristica che ne fa da tempo una base importante soprattutto per i narcotrafficanti: è vicinissimo a Roma.
Una realtà dunque in cui non manca il solito business illecito legato al commercio di marchi e alimenti contraffatti, ma dove il vero interesse delle organizzazioni criminali sta tutto nei fiumi di droga da far arrivare via mare, con le navi commerciali o sfruttando la facilità di mimetizzazione in quelle da crociera, e da destinare poi all’enorme piazza di spaccio della capitale.
Da oltre dieci anni gli investigatori hanno accertato i grandi affari che fanno i clan, ma di Civitavecchia si parla poco, quando viene pronunciata la parola mafia i più insorgono, come è accaduto lo scorso anno dopo l’audizione in Regione del sindaco pentastellato Antonio Cozzolino, e grandi inchieste sulle organizzazioni mafiose che utilizzano il porto come hub criminale non se ne vedono.
A fiutare tra i primi gli affari su quel tratto di costa laziale vicina alla Toscana, tra l’area romana e la Maremma, sono stati i mafiosi legati alle famiglie Rinzivillo ed Emmanuello, che con imprese a loro legate hanno anche cercato di infiltrarsi nei lavori per le aree portuali, come più volte sottolineato dalla Dia.
Del resto già nel lontano 21 ottobre 1990, in un circolo privato sulla Salaria, per quello che gli investigatori riterranno poi essere stato il frutto di uno scontro legato al controllo del traffico di stupefacenti attorno alla capitale e con protagonisti i Rinzivillo, venne compiuto anche un omicidio, quello di Antonello Scaglioni. E nel 2002, nell’inchiesta denominata “Cobra”, sviluppata dalla Direzione investigativa antimafia di Roma puntando sui rapporti opachi sempre tra i Rinzivillo e alcuni professionisti, finì coinvolto proprio un consigliere comunale di Civitavecchia.
Nella relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze presentata al Parlamento tre anni fa, è stato evidenziato che l’Italia, con le sue coste, rappresenta “una delle principali porte d’accesso della droga nel vecchio continente”. Guardando poi all’ultimo anno, la sola Guardia di finanza, tra il porto di Civitavecchia e gli aeroporti di Fiumicino e Ciampino, ha monitorato oltre venti milioni di euro portati con sé dai passeggeri, verbalizzando 1.123 persone e sequestrando quattro milioni e mezzo di euro in contanti.
Nel 2016, nelle acque antistanti il porto venne sequestrato un carico di ben 3.326 chili di hashish, mentre l’anno prima, su segnalazione della polizia spagnola, erano stati sequestrati sempre a Civitavecchia 400 chili di “fumo”, un blitz da cui si è poi sviluppata un’inchiesta su un giro di riciclaggio di denaro legato al narcotraffico, gestito dalla camorra, con una serie di arresti a Barcellona. Interventi singoli o inseriti in indagini più ampie che non hanno interrotto il business nella città portuale del Lazio. E come se non bastasse Civitavecchia è finita coinvolta anche in altri sporchi affari, quelli sui traffici di rifiuti. Tanto che l’anno scorso, in un’inchiesta dell’Antimafia di Roma, portata avanti dalle guardie costiere, è emerso che rifiuti metallici contaminati e trasformati in padelle partivano alla volta dell’Asia proprio dal porto dell’antica Centumcellae. Un business velenoso da 46 milioni di euro. Da Civitavecchia, in occasione del 26° anniversario delle stragi di Capaci e via d’Amelio, è salpata alla volta di Palermo la nave della legalità. Quella della criminalità ha però già da anni preso il largo.