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Ciambella di Draghi. Tregua fragile su spread

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Le cose si erano messe male, malissimo per l’Italia. Poi è arrivato il miracolo, probabilmente per la ciambella di Draghi. Lo spread non è esploso e la Borsa di Milano non è crollata. Anzi, è successo l’esatto opposto. Martedì 16 ottobre, dopo la manovra economica per il 2019 approvata dal “governo del cambiamento” la notte precedente, lo spread scendeva sotto quota 300 e chiudeva la giornata a 296 punti, mentre Piazza Affari guadagnava il 2,23%.

Un colpo insperato. L’esecutivo Lega-M5S temeva (e teme) la bomba atomica dello spread a 400-500 punti, un livello da collasso finanziario. C’è stata una tregua anche se pesano come macigni i contrasti tra la Lega e il M5S, in particolare sul decreto fiscale collegato alla manovra. La parte sul condono fiscale è “un testo manipolato”, ha accusato Luigi Di Maio annunciando addirittura una denuncia alla Procura della Repubblica. Sono seguiti il caos e la corsa del presidente del Consiglio per rivedere il decreto.

La Commissione europea, la Bce (Banca centrale europea), il Fmi (Fondo monetario internazionale) e l’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione economica tra i paesi occidentali) non erano stati teneri. Avevano pesantemente criticato, in modi e con forza diversa, l’ossatura della legge di Bilancio 2019 indicata a fine settembre dall’esecutivo grillo-leghista. Tre in sostanza le accuse: 1) misure mirate all’assistenza più che alla crescita economica, 2) messa in pericolo della stabilità dei conti pubblici, 3) rischio di far franare l’euro non rispettando le regole di bilancio.

Le imputazioni erano state rispedite al mittente dal governo giallo-verde, ma lo scontro era divenuto furibondo con gravi conseguenze sui mercati internazionali: la valanga di vendite dei titoli del debito pubblico italiano aveva fatto schizzare lo spread fino a quota 316 e aveva inferto alla Borsa di Milano un tonfo dietro l’altro. Jean-Claude Juncker aveva usato la mano pesante. Il presidente della Commissione europea aveva sollecitato a rivedere la manovra economica soprattutto sul punto del deficit pubblico fissato al 2,4% del Pil (prodotto interno lordo). Aveva paventato una bocciatura europea e pericolose conseguenze.

Tuttavia, nonostante le critiche la manovra economica del governo populista è rimasta sostanzialmente la stessa e Juncker non ha chiuso la porta al confronto sollecitando «l’applicazione ragionata delle regole europee», anche se ha tuonato: sono inaccettabili le deroghe dell’Italia alle regole. Lo scontro, per ora, è frontale. Conte, i vice presidenti del Consiglio Salvini e Di Maio hanno ribattuto: i conti sono a posto, dialogo sì ma «non cambieremo la manovra».

Eppure i mercati finanziari non hanno inferto il colpo di grazia al Belpaese. Forse il merito va a una ciambella di Draghi lanciata all’esecutivo populista. Il presidente della Bce ha proseguito ad applicare il cosiddetto Quantitative easing, il Piano di allentamento monetario, acquistando 15 miliardi di euro al mese di titoli dei paesi di Eurolandia (tra cui quelli italiani) per sostenere la crescita e l’occupazione (all’inizio erano 80 miliardi al mese), calmierando così il mercato.

Non solo. La ciambella di Draghi ha anche una forte caratura politica. Il 13 ottobre ha invitato l’Unione europea e l’Italia ad “abbassare i toni”. Intervenendo in una riunione del Fmi a Bali si è detto fiducioso: «Sono piuttosto ottimista che sarà trovato un compromesso». È tornato a criticare il governo Conte-Salvini-Di Maio perché le tante bellicose dichiarazioni hanno fatto raddoppiare lo spread da 130 punti all’epoca dell’esecutivo Gentiloni fino ad oltre 300, con un pesante rincaro degli interessi pagati dall’Italia sui titoli del debito pubblico.

Tuttavia ha sollecitato al realismo sulle regole dell’euro: «Ci sono state deviazioni, non è la prima volta e non sarà l’ultima». Parola di Mario Draghi, l’uomo che nel 2012, scontrandosi con il rigorismo della Germania, salvò la valuta unica europea con misure straordinarie come i tassi d’interesse europei zero e il Piano di allentamento monetario. L’uomo che ha definito l’euro “irreversibile” e “indissolubile”.

Ma occorre fare in fretta a trovare una mediazione con Bruxelles da sostituire alla ciambella di Draghi. Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, braccio destro di Salvini, già a luglio era preoccupato di un “bombardamento” dei mercati internazionali. La tregua sui mercati regge a fatica. La Borsa è tornata a dare dispiaceri ai risparmiatori e lo spread si è riaffacciato sopra quota 300. A fine anno cesseranno gli acquisti di titoli della Bce e da gennaio i dioscuri Salvini-Di Maio dovranno correre senza rete.


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