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Catania, gli Ercolano e l’“operazione Caronte”

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di Natale Bruno

Con il suo traffico di nove milioni di tonnellate di merci annue il porto di Catania è ritenuto uno dei più attivi d’Italia. Ma la sua prerogativa più appetibile non solo dal punto di vista economico, ma certamente dall’angolazione criminale è la posizione geografica in Sicilia che pone la città all’ombra dell’Etna al centro logistico di sei province su nove.
Lo snodo viario che colloca il porto in una posizione strategica e le cifre di quei traffici economici spiegano gli interessamenti nei ultimi decenni della famiglia catanese di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano. Due terzi dei nove milioni di tonnellate di merci che partono e raggiungono l’isola rappresentano il trasporto su gomma e a Catania, e non solo in città, è cosa risaputa che la famiglia Ercolano i trasporti li ha gestiti in regime di monopolio, mafioso.
E’ nel 2015 proprio quando il porto di Catania subisce una trasformazione epocale con la realizzazione della nuova darsena che si raggiunge l’apice. Ed è proprio in quel momento che la magistratura etnea inizia ad intercettare strane discussioni tra i picciotti del clan: riguardano proprio l’interessamento della famiglia catanese di Cosa nostra alle autostrade del mare per gestire in ‘toto’ quei trasporti che dalla Sicilia al resto d’Italia viaggiano sulle navi.
Si parla con insistenza di affari con armatori per la messa a disposizione di due navi verso cui la criminalità, tramite consorzi pilotati, ha intenzione di indirizzare piccoli e grandi padroncini per affari che vengono calcolati con un introito di quasi cento mila euro al mese. Denaro che finisce dritto nella tasche della mafia. L’affare è talmente appetibile che ci sta quasi per scappare il morto, un giovane rampante, apparentemente pulito rischia la vita con un colpo di calibro 38 che gli trapassa il torace. Lui non solo pensa a gestire per conto degli Ercolano le autostrade del mare, ma immagina pure di costituire un partito politico attorno al consenso degli autotrasportatori.
E’ l’operazione “Caronte” ordinata dalla procura distrettuale ad interrompere il progetto ambizioso di Cosa nostra. Il tintinnio delle manette fa sfumare l’accordo già in cantiere, ma nel frattempo il business va avanti tanto che oggi i semirimorchi carichi di merci varie da e per a Sicilia seguono le rotte che da Catania vanno verso Salerno, Livorno, la costa Adriatica e poi Genova e Napoli.
Affare non meno importante è rappresentato dal restante un terzo dei nove milioni di tonnellate di merci che riguarda i container, nell’ultimo anno la cifra oscilla tra i cinquanta e i sessanta mila cassoni che hanno transitato nel porto di Catania. Una cifra non troppo esagerata, ma che ha attirato l’attenzione della Guardia di finanza che nel porto ha giurisdizione assoluta.
Nel marzo del 2017 un carico con 110 chili di cocaina proveniente dalla Colombia viene intercettato dalle fiamme gialle etnee nel porto di Salerno, la destinazione finale è Catania, viaggia stipata in un container, uno di quei sessanta mila che nell’ultimo anno hanno sostato a lungo nei piazzali del porto etneo. Nel corso degli anni diversi i carichi di droga giunti in Sicilia nell’hub di Catania, rifornimento del mercato degli stupefacenti di tutta l’isola. Anche se negli ultimi mesi, in controtendenza, i trafficanti di marijuana hanno deciso di investire nelle piantagioni per coltivarla in ‘loco’ al sole di Sicilia e semmai proporre uno scambio al contrario con i clan della ‘ndrangheta e della camorra. Il progetto è in embrione, ma viene  seguito con grande interesse…

Da mafie


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