Alzare il velo e illuminare, non perdere di vista, insistere, non dimenticare e scavare ancora, senza perdere la curiosità e nemmeno l’umanità: in fondo è solo questo il mestiere del giornalista eppure proprio adesso alla vigilia
dell’assemblea di Assisi è diventato necessario, impellente. Per quello che ha insegnato l’estate appena finita, per le notizie e le storie che forse non erano state illuminate abbastanza e che, improvvisamente, sono piombate in cronaca a
ricordare a tutti quanto fossero importanti e dimenticate.
Un reportage sullo stato di salute dei cavalcavia, dei ponti e delle infrastrutture quante volte sarà stato bocciato? Perché noioso, inutile “tanto non interviene nessuno”, superato da notizie più in voga, o, peggio, più “cliccate”. Di storie non raccontate ce ne sono tante e forse anch’esse hanno bisogno della stessa scorta mediatica che con successo, e gran fatica, si sta portando avanti con i giornalisti che illuminano le periferie. Ci sono argomenti da illuminare a giorno che, tra grandi difficoltà e molti dinieghi, pochi cronisti riescono ancora ad “imporre”. Tutto il non detto, il non scritto, il non illuminato di adesso può diventare la notizia di domani che da sola, in modo drammatico e sietato si prenderà i titoli d’apertura, e lascerà a noi l’amaro in bocca per non aver insistito o non aver indagato o non aver acceso i riflettori che solo la cronaca può dare ai problemi.
Al di qua di tanti cavalcavia non raccontati c’è un Paese che si sbriciola, con i suoi tesori architettonici antichissimi ma non eterni se non curati adeguatamente; e ci sono fiumi inquinati che trascinano veleni a valle, minuscoli paesi che si spopolano dove la scuola materna chiude e domani chiuderanno anche le scuole elementari e poi i bambini verranno accompagnti nel centro vicino dai genitori e poi quel paesino rimarrà senza bambini che sciamano alla fine delle lezioni. Ci sono ponti che portano ormai in regioni che stanno morendo di crisi industriale e disperanza di cambiamento; e ponti che attraversano periferie dove tutto è possibile, vivere e morire, spacciare e sfrecciare col motorino. E poi ci sono i cavalcavia che escono dai porti dove non arrivano migranti ma sbarca indisturbata tanta cocaina da mandare avanti un’intera economia illegale che fa la concorrenza a quella legale, perché può contare su solide (queste sì) relazioni internazionali che spaziano dall’Est
Europa al Sud America in un mondo dove gli accordi sui soldi si trovano. Un serbatoio di storie inedite ruota attorno al mestiere del giornalista e aspetta che sia sollevato il velo, anche in un Paese, il nostro dove ancora non si è fatto pace con la trasparenza e bisogna appoggiarsi ad una legge severa per
“scoprire”, in un sistema dove invece si tende a coprire perché il silenzio e l’oblio aiutano chi ha qualcosa da nascondere.
Una carta per ribadire concetti così semplici non doveva essere all’ordine del giorno nel 2018, invece lo è per tutto quello che ci è successo: dal tentativo di delegittimare i professionisti dell’informazione a beneficio dei fabbricanti seriali di bufale alla denigrazione violenta di chi firma e produce notizie vere, alla reazione scomposta e feroce davanti alle prove dell’esistenza di un fronte reazionario e fascista che punta a denigrare chi, appunto, disvela verità. Le parole e l’impegno a non spegnere la luce su “argomenti di periferia” però probabilmente non può bastare se non si difende la pluralità e la molteplicità
dell’informazione. Ci sono intere zone del Paese desertificate dall’informazione, che vivono “a media spenti”, travolti anch’essi dalla crisi e
conomica e, molto più probabilmente, dalal volontà di coprire la realtà anziché
scoprire. Che vuoi che sia se chiude una tv, una radio, un giornale? Tanto meglio. Non è una fabbrica con centinaia di lavoratori. E intanto si perde un altro racconto, un’altra storia e si lascia al buio un pezzo di Paese e tanti tasselli della realtà. In tanti per troppo tempo hanno fatto tifo contro la pluralità dell’informazione, forse adesso siamo alla battaglia più importante.
Ci vediamo ad Assisi.