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Verso Assisi. Mai come ora informazione sotto attacco. Si istituisca rappresentante Onu per la stampa

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I numeri dei giornalisti uccisi durante lo svolgimento del proprio lavoro negli ultimi 10 anni sono da bollettino di guerra: 1024 di cui 147 da gennaio 2016 a maggio 2018.
Il giornalismo in tutto il mondo è sotto attacco e non solo di milizie o dittature nei conflitti che seguono da inviati o delle organizzazioni criminali di cui scoprono e raccontano gli affari e i delitti.
Sono minacciati anche da governi e formazioni politiche che mal sopportano la libertà di stampa e vorrebbero costringere al silenzio le voci libere.
Tra estremismo politico, incitamento all’odio e fake news, che favoriscono coloro che vorrebbero attuare per legge restrizioni sul diritto alla libera espressione, fare giornalismo indipendente e di qualità è sempre più arduo.
Lo confermano anche l’ultimo rapporto diffuso da Reporters sans frontières e ancor prima il World Press Freedom Index del Committee to protect journalist che hanno tracciato la mappa delle repressioni della libertà di stampa nel mondo nell’ultimo anno.
A maggio 2018 si contavano già 68 operatori dell’informazione uccisi mentre svolgevano il proprio lavoro. Tanti anche i colleghi finiti in carcere nel 2017, 326 in totale.
La Cina detiene il primato con 52, seguono poi la Turchia con 43 e Siria, Iran e Vietnam con rispettivamente 24, 23 e 19 operatori dell’informazione detenuti.
Tra i luoghi più pericolosi in cui fare il giornalista è il Messico. Tutti coloro che sfidano il malaffare lo fanno a rischio della propria vita mentre chi li uccide gode quasi sempre dell’impunità, 10 dei 12 omicidi nel Paese durante il 2017 sono ancora senza un responsabile identificato dalla giustizia.
Se nel complesso, il numero dei morti a livello globale risulta il più basso degli ultimi 14 anni, aumentano i paesi dove è più rischioso fare informazione.
Il calo dei decessi viene spiegato da RSF con una preparazione migliore dei reporter ad affrontare scenari di guerra ma anche alla diminuzione della presenza sul campo degli stessi operatori informazione.
Sta infatti aumentando la tendenza di chi lascia i luoghi di crisi in cui si reca per raccontare ciò che lì accade quando si intensifica il conflitto.
Secondo Rsf da Siria, Iraq, Yemen e Libia si è verificata una vera e propria emorragia di giornalisti.
Nessun italiano ha perso la vita in questo anno o ha subito violenza, anche se non sono mancati momenti di paura quando in Turchia è stato arrestato Francesco Del Grande, regista e giornalista freelance che era nel Paese per intervistare i profughi siriani, soggetto del suo nuovo documentario.
Il problema dell’informazione in Italia sono i tanti, troppi, giornalisti sotto scorta per la sicurezza della loro vita.
Nonostante negli ultimi dieci anni vari organismi delle Nazioni Unite abbiano adottato risoluzioni, tra cui la 1738 del 2006 e la 2222 del Consiglio di sicurezza del 2015 e quelle votate dall’Assemblea generale – 68/163 (2014), 69/185 (2015), 70/162 (2016) – con l’obiettivo di proteggere i giornalisti e di combattere l’impunità dei responsabili della violenza contro di essi, non è mai stata istituita la figura di un rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni unite per la sicurezza dei giornalisti (SRSJ).
Si tratterebbe di un progresso a livello giuridico fondamentale in una fase come quella attuale che vede gli operatori dei media sotto attacco e in pericolo in varie realtà sul campo come dimostra il numero di giornalisti uccisi ogni anno e le sempre più diffuse repressioni dei diritti alla libertà di informazione in Paesi come la Turchia, la Cina, l’Egitto e anche stati europei come l’Ungheria e la Polonia.
Per questi motivi, da Assisi, Articolo 21, Reporter senza frontiere e molte altre organizzazioni internazionali di difesa e tutela della libertà di stampa rilanceranno un appello all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a rendere al più presto operativa la risoluzione che istituisca la figura del rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni unite per la sicurezza dei giornalisti.
Senza un’efficace protezione degli operatori dei media, il diritto all’informazione non può essere garantito.
Mentre la tecnologia digitale offre nuovi modi per diffondere la propaganda, la lotta contro l’estremismo violento non può essere efficace senza notizie raccolte sul campo dai giornalisti che devono poter agire in un ambiente sicuro e con strumenti a disposizione in grado di tutelarli e proteggerli da attacchi fisici e giudiziari.


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