Verso Assisi. Europa, democrazia, Costituzione, parole da custodire e difendere

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C’è uno stretto legame tra la Carta di Assisi e il Manifesto di Venezia,  scritti più o meno in contemporanea per rispondere a una comune necessità di mettere in ordine, sistemare, “fissare”, alcune acquisizioni etiche e deontologiche sul giornalismo. O meglio sull’informazione. Un invito alla riflessione e all’ulteriore elaborazione. In comune le due Carte hanno  il concetto del “rispetto”.  Rispetto dell’altra/o, della dignità della persona, della donna. Non sono carte prescrittive ma deontologiche si. Mirano entrambe a una presa di coscienza, a diffondere buone pratiche,  e dunque non si pongono in modo sanzionatorio ma dialogico.  Perche’  il cambiamento, con i suoi tempi lunghi e purtroppo non lineari, deve mettere radici nelle coscienze per essere reale, duraturo.  Cambiare l’informazione per cambiare la società, nel segno dell’equità, della giustizia, della pace. Del rispetto e della tolleranza. 

Il presupposto delle due Carte, condiviso da chi ne sottoscrive i principi, è la responsabilità del giornalista, di chi fa informazione. 

Il Manifesto di Venezia (per il rispetto della parità di genere nell’informazione – Contro ogni forma di violenza e discriminazione attraverso immagini e parole), sottoscritto da un migliaio di giornaliste e giornalisti, direttrici e direttori, ed entrato nel contratto di lavoro dei giornalisti Rai, è stato pensato nel solco delle carte dei giornalisti, dell’autoregolamentazione in nome della nostra autonomia. Promosso dalla Federazione della stampa, e frutto  di anni di corsi di formazione di GiULiA  – che hanno coinvolto migliaia di colleghi – il Manifesto si è fatto a sua volta strumento di formazione continua. Per diffonderlo e discuterlo, creando occasioni in cui  i colleghi si ritrovano e si riconoscono intorno a valori comuni.

Condivisione di regole. Le due Carte mirano alla corretta informazione, al rispetto delle diversità e differenze, a illuminare anche i fatti più trascurati dove c’è ingiustizia e sofferenza. VIte in carne e ossa. Troppo spesso vittime ignorate e non ascoltate. 

Dove la Carta di Assisi  afferma che le “parole sono pietre” che possono ferire e persino uccidere se male utilizzate, il Manifesto di Venezia parte dal presupposto che le “parole sono azioni” . Sono “pietre”, certo, perché nelle cronache delle violenze alle donne possono rendere la vittima due volte vittima, offesa anche da un linguaggio banale e stereotipato che le addossa la colpa di quanto subito. Ma le parole sono anche “azioni” perché capaci di superare gli stereotipi sessisti e formare nuove abitudini linguistiche che modificano le categorie del pensiero. Per costruire una società paritaria. 

Mi fa pensare la contemporanea stesura delle due Carte. Da parti diverse, e con storie diverse, abbiamo percepito la stessa necessità di richiamare all’uso corretto delle parole. E tanto più ora ci torna utile il lavoro fatto e ci sprona ad andare avanti su questa strada. Immettere razionalità nel discorso pubblico diventa un imperativo categorico per l’informazione e per la comunicazione. Questa è la funzione cruciale del giornalismo oggi. Numeri e dati al posto di “percezioni”, controllo dei fatti per smascherare le bufale e non farsi megafono di slogan e propaganda. La Carta di Assisi ci chiede un salto di qualità per difendere valori messi a rischio.  Parole come Europa, democrazia, Costituzione, da custodire e difendere. Usando le parole.  


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