Aleppo, Homs, Ghouta Orientale, oggi Idlib. Come è avvenuto per le altre città e province della Siria in mano ai ribelli o a gruppi terrorisrici anche questa area a nord del Paese cadrà con un tributo di sangue di innocenti.
Idlib sta vivendo le ore più drammatiche e gli scontri più cruenti dall’inizio della guerra che non coinvolgono solo i ribelli o i gruppi terroristici, ma la popolazione civile, molti bambini, e gli operatori dei media bloccati nel mezzo del conflitto.
Lo schema è sempre lo stesso, gli orrori pure.
L’esercito di Damasco con l’aiuto degli alleati sta sferrando l’attacco finale all’ultima roccaforte della ribellione anti Assad. E come sempre a pagare il costo maggiore di vite saranno i civili. Ieri un appello dell’Unicef ci ha informato che sono centinaia di migliaia i minori in pericolo. Il portavoce Andrea Iacomini, che ha rilanciato le preoccupazioni dei vertici internazionali dell’agenzia delle Nazioni Unite, ci ha ricordato come, inevitabilmente, saranno coinvolti i figli dei combattenti ribelli “che non devono essere associati a quello che hanno potuto fare i loro padri”.
Anche le altre grandi organizzazioni presenti in Siria sono allarmate per l’attacco annunciato nella zona, ultimo grande bastione ribelle dove fra i circa 3 milioni di persone che vi vivono, più di un terzo sono bambini.
“Il timore è che in mezzo ai discorsi militari, si dimentichi che ci sono più di un milione di bambini che vive nell’area, che ci si dimentichi i bisogni umanitari di questo milione di bambini”, ha dichiarato all’Afp Manuel Fontaine, direttore delle operazioni d’urgenza dell’Unicef.
Ma ne’ le preoccupazioni internazionali ne’ i tentativi dell’azione diplomatica che prova a far prevalere una soluzione politica sembrano destinate a frenare l’offensiva sulla provincia di Idlib, dove da settimane è ammassato ai suoi confini. Negli scontri già in corso nella provincia sono morti due dei più importanti comandanti del Fronte di liberazione nazionale, Abu Vasıf e Abu Mohammed Mariya. La sconfitta per la ribellione siriana è dunque a un passo.
Il presidente Bashar Assad rivuole il controllo della provincia settentrionale della Siria, l’ultima zona in mano ai suoi oppositori. A controllarla è in gran parte l’alleanza jihadista Hayat Tahrir al-Sham, costituita dall’ex Fronte al-Nusra legato ad al-Qaeda.
Nella zona sono stati trasferiti i ribelli evacuati da tutte le altre zone ‘riconquistate’, con le loro famiglie. “Il comando ha deciso di sconfiggere il Fronte al-Nusra in Siria, non importa quali sacrifici serviranno” ha dichiarato giovedì il ministro degli Esteri siriano, Walid Muallem, dopo che l’omologo (e alleato) russo, Sergey Lavrov, aveva avvertito gli altri Paesi di non ostacolare “l’operazione antiterrorismo a Idlib” aggiungendo che si trattava di “un ascesso” che doveva essere rimosso”.
Usa, Francia e Regno Unito hanno minacciato di rispondere, in caso di uso di armi chimiche su Idlib da parte dell regime. Ma sembra difficile che Damasco e Mosca possano fare marcia indietro. Mercoledì il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si è detto “profondamente preoccupato per i crescenti rischi di una catastrofe umanitaria”. Stesso allarme lanciato da da Papa Francesco nell’Angelus di domenica scorsa che ha rinnovato alla comunità internazionale e a tutti gli attori coinvolti nel conflitto la richiesta di avvalersi degli strumenti della diplomazia, del dialogo e dei negoziati, nel rispetto del diritto umanitario internazionale per salvaguardare le vite dei civili.
Nella provincia al confine con la Turchia vivono tre milioni di persone, per la metà ribelli e civili.
Le ong sottolineano che non esiste più alcun vicino territorio in mano all’opposizione dove queste persone possano ora essere evacuate. L’inviato speciale delle Naziobi Inite, Staffan de Mistura, ha chiesto giovedì la creazione di corridoi per la popolazione civile. Ma finora è rimasto inascoltato.
Secondo l’ufficio Affari umanitari del Palazzo di Vetro, 700mila persone potrebbero fuggire, in uno dei più grandi ‘esodi’ della guerra. A preoccupare gli operatori sul campo è anche un’eventuale chiusura del confine turco, da cui arrivano gli aiuti forniti dalle ong e dalle agenzie Onu.
Si resta dunque con il fiato sospeso, ma la possibilità che la prossima catastrofe umanitaria, l’ennesima in Siria, possa manifestarsi nella peggiore delle attese è molto più che un semplice rischio.