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“Sembra mio figlio”, appassionante storia vera di due profughi Hazara emblema dei perseguitati

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Ismail, insieme al fratello, a soli nove anni ha dovuto lasciare la famiglia per mettersi in salvo dalle persecuzioni che il popolo Hazara subisce. Gli Hazāra sono un gruppo etnico che vive prevalentemente in una regione montuosa dell’Afghanistan centrale, nota come Hazarajat o Hazaristan.

Nei secoli scorsi costituivano la maggiore etnia dell’Afghanistan, ma a causa delle continue persecuzioni oggi approssimativamente rappresentano circa il 9% della popolazione afghana. Ismail è interpretato non da un attore professionista ma da un autentico afghano residente in Italia, Basir Ahang, giovane uomo dai lunghi capelli e dai tratti mongoli come i protagonisti delle avventure di Gengis Khan dal quale si dice discendano gli Hazari.  In Europa Ismail, con il fratello Hassan rimasto provato dalle torture dei talebani, ha raggiunto un modus vivendi faticoso con dignità. Il suo attuale cruccio è riuscire a rivedere la madre, che ha rintracciato per caso, dopo oltre un ventennio. Quando in Afghanistan infuriava la guerra, la povera donna pregò i due figli di scappare perché era l’unica soluzione per mettere in salvo la pelle. Da quel momento non si sono più rivisti e Ismail vorrebbe incontrarla. Ma quando la chiama lei non lo riconosce.

Il film di Costanza Quatriglio è l’appassionante avventura di un figlio disgiunto dalla propria madre, di un uomo diviso tra due culture e due modus vivendi dei quali sente più vicino quello che soddisfa l’identità, a prescindere dalla latitudine anagrafica. La storia, restando aperta a molte soluzioni possibili, diventa universale. La regista ambienta il film a Trieste, una città di frontiera che più che il confine italiano rappresenta quello europeo. “Sembra mio figlio” diventa così storia di esseri umani e di continenti che s’incontrano e scontrano, mescolando culture che richiedono sintesi per tradursi in crescita. Alla conferenza stampa è stato più volte rilevato come il dramma del popolo Hazara sia passato sotto silenzio anche tra i media e come, si spera, questo film possa essere occasione di dibattito sull’assurdità del genocidio di ogni popolo e sulla comprensione delle cause della migrazione.


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