Il messaggio ecumenico lanciato nell’omelia di fine settimana da Papa Francesco in Sicilia, terra insanguinata dalla mafia e dal malgoverno, in occasione delle celebrazioni per l’assassinio del Beato Padre Puglisi, il “parroco dal sorriso” di Brancaccio a Palermo, va ben oltre la contestualità del fenomeno criminale, della violenza, del martirio. Non sono state solo parole per commemorare l’eroico sacerdote, per invitare i fedeli a seguire il suo esempio e le indicazioni del Vangelo secondo San Giovanni.
E’ andato ben oltre il Santo Padre: la tecnica del suo discorso è semplice, lineare, quasi “bonaria”, appunto da parroco; ma entra nel profondo dei temi che attraversano le coscienze di tutti noi, credenti e agnostici, che si viva in stati democratici occidentali o sotto regimi a “capitalismo statalista”. Addirittura, si trasforma in una esegesi della situazione sociale e politica, che sta attraversando il mondo neo-capitalistico in crisi economica, ideale e culturale.
Purtroppo le sue parole sono state relegate alla commemorazione di don Puglisi e al ribadire la condanna di scomunica, che già Papa Woytila aveva lanciato il 9 maggio del 1993 (“Questo popolo, popolo Siciliano talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte, lo dico ai responsabili: convertitevi una volta verrà il giudizio di Dio!”). E’ dal 2013 che Papa Francesco lancia periodicamente i suoi anatemi contro tutte le mafie, ma non si ferma solo all’invettiva teologica. Vola oltre il fatto contingente! Ed arriva alla critica dei disvalori della società neo-capitalistica, senza mai farne cenno esplicito: diretta, chiara e senza appello.
Sta in questa sua tecnica fatta di semplicità e di assenza di ideologia, che il messaggio del Santo Padre permea anche nelle coscienze più smaliziate, più abituate alla dialettica politica, allo scontro tra globalisti e sovranisti, tra europeisti ed euroscettici, tra populisti e democratici. Si va all’origine del termine filosofico greco di “Politeia”, l’impegno a partecipare alla vita pubblica e all’impegno per migliorare le condizioni dei propri concittadini; ai significati profondi di alcune parole simbolo, come: amore, odio, egoismo, soldi, potere, spirito di servizio, malaffare, violenza.
La sua non è una “rivisitazione marxista” cristiana, da “teologia della liberazione” latino-americana, del mondo. Sarebbe riduttivo e distorcente, oltre che una sorta di “polpetta avvelenata” strumentalizzabile dai tradizionalisti della Curia romana e da quegli opinionisti “papisti” della destra cattolica. E’ invece un messaggio evangelico lungimirante, che trae origine da quelle elaborazioni “teologicamente rivoluzionarie”, che scaturirono dalle accese discussioni avvenute durante il Concilio Ecumenico Vaticano II* del 1962/’65.
Di seguito ecco il testo integrale della sua omelia, con evidenziati in neretto alcuni passi espliciti. A volte, la lettura dei testi originali è molto più efficace dei nostri resoconti!
“Oggi Dio ci parla di vittoria e di sconfitta. San Giovanni nella prima lettura presenta la fede come «la vittoria che ha vinto il mondo» (1 Gv 5,4), mentre nel Vangelo riporta la frase di Gesù: «Chi ama la propria vita, la perde» (Gv 12,25).
Questa è la sconfitta: perde chi ama la propria vita. Perché? Non certo perché bisogna avere in odio la vita: la vita va amata e difesa, è il primo dono di Dio! Quel che porta alla sconfitta è amare la propria vita, cioè amare il proprio. Chi vive per il proprio perde, è un egoista, diciamo noi. Sembrerebbe il contrario. Chi vive per sé, chi moltiplica i suoi fatturati, chi ha successo, chi soddisfa pienamente i propri bisogni appare vincente agli occhi del mondo. La pubblicità ci martella con questa idea – l’idea di cercare il proprio, dell’egoismo –, eppure Gesù non è d’accordo e la ribalta. Secondo lui chi vive per sé non perde solo qualcosa, ma la vita intera; mentre chi si dona trova il senso della vita e vince.
Dunque c’è da scegliere: amore o egoismo. L’egoista pensa a curare la propria vita e si attacca alle cose, ai soldi, al potere, al piacere. Allora il diavolo ha le porte aperte. Il diavolo “entra dalle tasche”, se tu sei attaccato ai soldi. Il diavolo fa credere che va tutto bene ma in realtà il cuore si anestetizza con l’egoismo. L’egoismo è un’anestesia molto potente. Questa via finisce sempre male: alla fine si resta soli, col vuoto dentro. La fine degli egoisti è triste: vuoti, soli, circondati solo da coloro che vogliono ereditare. È come il chicco di grano del Vangelo: se resta chiuso in sé rimane sotto terra solo. Se invece si apre e muore, porta frutto in superficie.
Ma voi potreste dirmi: donarsi, vivere per Dio e per gli altri è una grande fatica per nulla, il mondo non gira così: per andare avanti non servono chicchi di grano, servono soldi e potere. Ma è una grande illusione: il denaro e il potere non liberano l’uomo, lo rendono schiavo. Vedete: Dio non esercita il potere per risolvere i mali nostri e del mondo. La sua via è sempre quella dell’amore umile: solo l’amore libera dentro, dà pace e gioia. Per questo il vero potere, il potere secondo Dio, è il servizio. Lo dice Gesù. E la voce più forte non è quella di chi grida di più. La voce più forte è la preghiera. E il successo più grande non è la propria fama, come il pavone, no. La gloria più grande, il successo più grande è la propria testimonianza.
Cari fratelli e sorelle, oggi siamo chiamati a scegliere da che parte stare: vivere per sé – con la mano chiusa [fa il gesto] – o donare la vita – la mano aperta [fa il gesto]. Solo dando la vita si sconfigge il male. Un prezzo alto, ma solo così [si sconfigge il male]. Don Pino lo insegna: non viveva per farsi vedere, non viveva di appelli anti-mafia, e nemmeno si accontentava di non far nulla di male, ma seminava il bene, tanto bene. La sua sembrava una logica perdente, mentre pareva vincente la logica del portafoglio. Ma padre Pino aveva ragione: la logica del dio-denaro è sempre perdente. Guardiamoci dentro. Avere spinge sempre a volere: ho una cosa e subito ne voglio un’altra, e poi un’altra ancora e sempre di più, senza fine. Più hai, più vuoi: è una brutta dipendenza. È una brutta dipendenza. È come una droga. Chi si gonfia di cose scoppia. Chi ama, invece, ritrova se stesso e scopre quanto è bello aiutare, quanto è bello servire; trova la gioia dentro e il sorriso fuori, come è stato per don Pino.
Venticinque anni fa come oggi, quando morì nel giorno del suo compleanno, coronò la sua vittoria col sorriso, con quel sorriso che non fece dormire di notte il suo uccisore, il quale disse: «c’era una specie di luce in quel sorriso». Padre Pino era inerme, ma il suo sorriso trasmetteva la forza di Dio: non un bagliore accecante, ma una luce gentile che scava dentro e rischiara il cuore. È la luce dell’amore, del dono, del servizio. Abbiamo bisogno di tanti preti del sorriso. Abbiamo bisogno di cristiani del sorriso, non perché prendono le cose alla leggera, ma perché sono ricchi soltanto della gioia di Dio, perché credono nell’amore e vivono per servire. È dando la vita che si trova la gioia, perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere (cfr At 20,35). Allora vorrei chiedervi: volete vivere anche voi così? Volete dare la vita, senza aspettare che gli altri facciano il primo passo? Volete fare il bene senza aspettare il contraccambio, senza attendere che il mondo diventi migliore? Cari fratelli e sorelle, volete rischiare su questa strada, rischiare per il Signore?
Don Pino, lui sì, lui sapeva che rischiava, ma sapeva soprattutto che il pericolo vero nella vita è non rischiare, è vivacchiare tra comodità, mezzucci e scorciatoie. Dio ci liberi dal vivere al ribasso, accontentandoci di mezze verità. Le mezze verità non saziano il cuore, non fanno del bene. Dio ci liberi da una vita piccola, che gira attorno ai “piccioli”. Ci liberi dal pensare che tutto va bene se a me va bene, e l’altro si arrangi. Ci liberi dal crederci giusti se non facciamo nulla per contrastare l’ingiustizia. Chi non fa nulla per contrastare l’ingiustizia non è un uomo o una donna giusto. Ci liberi dal crederci buoni solo perché non facciamo nulla di male. “È cosa buona – diceva un santo – non fare il male. Ma è cosa brutta non fare il bene” [S. Alberto Hurtado]. Signore, donaci il desiderio di fare il bene; di cercare la verità detestando la falsità; di scegliere il sacrificio, non la pigrizia; l’amore, non l’odio; il perdono, non la vendetta.
Agli altri la vita si dà, agli altri la vita si dà, non si toglie. Non si può credere in Dio e odiare il fratello, togliere la vita con l’odio. Lo ricorda la prima lettura: «se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello è un bugiardo» (1 Gv 4,20). Un bugiardo, perché sbugiarda la fede che dice di avere, la fede che professa Dio-amore. Dio-amore ripudia ogni violenza e ama tutti gli uomini. Perciò la parola odio va cancellata dalla vita cristiana; perciò non si può credere in Dio e sopraffare il fratello. Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore. Oggi abbiamo bisogno di uomini e di donne di amore, non di uomini e donne di onore; di servizio, non di sopraffazione. Abbiamo bisogno di camminare insieme, non di rincorrere il potere. Se la litania mafiosa è: “Tu non sai chi sono io”, quella cristiana è: “Io ho bisogno di te”. Se la minaccia mafiosa è: “Tu me la pagherai”, la preghiera cristiana è: “Signore, aiutami ad amare”. Perciò ai mafiosi dico: cambiate, fratelli e sorelle! Smettete di pensare a voi stessi e ai vostri soldi. Tu sai, voi sapete, che “il sudario non ha tasche”. Voi non potrete portare niente con voi. Convertitevi al vero Dio di Gesù Cristo, cari fratelli e sorelle! Io dico a voi, mafiosi: se non fate questo, la vostra stessa vita andrà persa e sarà la peggiore delle sconfitte.
Il Vangelo oggi termina con l’invito di Gesù: «Se uno mi vuole servire, mi segua» (v. 26). Mi segua, cioè si metta in cammino. Non si può seguire Gesù con le idee, bisogna darsi da fare. «Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto», ripeteva don Pino. Quanti di noi mettono in pratica queste parole? Oggi, davanti a lui domandiamoci: che cosa posso fare io? Che cosa posso fare per gli altri, per la Chiesa, per la società? Non aspettare che la Chiesa faccia qualcosa per te, comincia tu. Non aspettare che la società lo faccia, inizia tu! Non pensare a te stesso, non fuggire dalla tua responsabilità, scegli l’amore! Senti la vita della tua gente che ha bisogno, ascolta il tuo popolo. Abbiate paura della sordità di non ascoltare il vostro popolo. Questo è l’unico populismo possibile: ascoltare il tuo popolo, l’unico “populismo cristiano”: sentire e servire il popolo, senza gridare, accusare e suscitare contese.
Così ha fatto padre Pino, povero fra i poveri della sua terra. Nella sua stanza la sedia dove studiava era rotta. Ma la sedia non era il centro della vita, perché non stava seduto a riposare, ma viveva in cammino per amare. Ecco la mentalità vincente. Ecco la vittoria della fede, che nasce dal dono quotidiano di sé. Ecco la vittoria della fede, che porta il sorriso di Dio sulle strade del mondo. Ecco la vittoria della fede, che nasce dallo scandalo del martirio. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Queste parole di Gesù, scritte sulla tomba di don Puglisi, ricordano a tutti che dare la vita è stato il segreto della sua vittoria, il segreto di una vita bella. Oggi, cari fratelli e sorelle, scegliamo anche noi una vita bella. Così sia.