Doveva essere il giorno delle prime testimonianze nel processo sull’omicidio dei reporter Andrea Rocchelli e Andrej Mironov, ma il protagonista involontario della seconda udienza è stato l’avvocato Giovanni Calì. Calì è stato nominato difensore d’ufficio dello stato ucraino, citato nel processo civile. Ma da Kiev è arrivata una eccezione sulle modalità della notifica: 18 e non 20 giorni, come previsto dalla legge. È così Calì ha preso la parola per spiegare di trovarsi in “una situazione kafkiana”: essere l’avvocato d’ufficio di un soggetto che non ha avuto il tempo necessario per nominare un difensore. Il giudice ha così disposto la sospensione delle udienze fino al prossimo 23 novembre, il tempo necessario per far ripartire la procedura di notifica della citazione. Serviranno dunque altri 60 giorni per entrare nel vivo del processo contro Vitaly Markiv, il miliziano Italo-ucraino accusato di aver ucciso i due reporter in una azione mirata, mentre si trovavano nel Donbass per documentare la sofferenza della popolazione durante la guerra civile. “Ci dispiace per lo slittamento del processo” racconta Elisa Signori, la mamma di Andy “slittamento che conferma l’atteggiamento dilatorio dell’Ucraina e la scarsa volontà di Kiev di arrivare ad un rapido accertamento della verità. D’altra parte non ci stupisce: è lo stesso atteggiamento che hanno mantenuto dal giorno dell’omicidio”. In aula, oltre all’avvocato della FNSI Giuliano Pisapia, molti amici e colleghi di Andy e Andrej, che chiedono verità e giustizia. Nella minuscola aula del tribunale di Pavia anche alcuni cittadini ucraini convinti che Markiv sia semplicemente un soldato che ha eseguito un ordine. Due visioni inconciliabili nello spazio di pochi metri.